L’accordo interconfederale di indirizzo 9 marzo 2018 sulle relazioni industriali
A cura di Tommaso Targa e Enrico Vella
Il 9 marzo si è concluso ufficialmente, con la firma delle parti, l’iter di formalizzazione dell’accordo quadro tra Confindustria e organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (CGIL – CISL –UIL), già raggiunto nella sostanza lo scorso 28 febbraio, relativo a “contenuti e indirizzi delle relazioni industriali e della contrattazione collettiva”.
L’intesa è stata annunciata, forse con eccessiva enfasi, come un momento “storico” nell’evoluzione delle relazioni industriali, introducendo un nuovo modello di contrattazione.
L’obiettivo dichiarato dalle parti sociali è offrire strumenti di gestione dei rapporti sindacali in grado di rispondere alle esigenze di cambiamento correlate allo sviluppo tecnologico e produttivo del tessuto imprenditoriale italiano. Si tratta, però, di un accordo programmatico che contiene numerose dichiarazioni di intenti, pur non avendo un immediato effetto nella disciplina delle relazioni industriali e dei rapporti di lavoro.
Il momento politico in cui approda l’intesa non è casuale. La tornata elettorale, infatti, ha messo in luce il proposito di alcune forze politiche di introdurre un salario minimo legale e una disciplina sulla rappresentanza/rappresentatività. E così, dopo mesi di stallo, la firma - prima dell’insediamento del nuovo Parlamento – sembra quasi un monito al Legislatore, per segnalare che il salario è definito dalle parti sociali e non per legge; che la “pirateria” al ribasso delle regole sul lavoro deve essere combattuta dall’interno del mondo del lavoro; più in generale, che la materia sindacale è costituzionalmente intangibile.
In questo quadro, l’accordo premette che “un sistema di relazioni industriali più efficace e partecipativo è necessario per qualificare e realizzare i processi di trasformazione e di digitalizzazione nella manifattura e nei servizi innovativi, tecnologici e di supporto all’industria”. Dunque, ’“un ammodernamento del sistema delle relazioni industriali e della contrattazione collettiva” è funzionale a “contribuire fattivamente alla crescita del Paese, alla riduzione delle disuguaglianze, nella distribuzione del reddito, alla crescita dei salari, al necessario miglioramento della competitività attraverso l’incremento della produttività delle imprese, al rafforzamento dell’occupabilità delle lavoratrici e dei lavoratori e alla creazione di posti di lavoro qualificati”.
Il confronto fattivo e partecipativo è già iniziato: l’intesa si presenta, infatti, solo come il primo passo verso il cambiamento. Le parti condividono le linee guida del percorso e i “principi di indirizzo su alcune questioni di comune interesse, che è volontà condivisa mettere al centro del prosieguo del confronto, al fine di addivenire a ulteriori concrete intese”.
Al di là delle dichiarazioni di principio, le Parti Sociali si sono concentrate su una serie aspetti di ordine generale.
Il modello contrattuale. Il ruolo centrale dei contratti collettivi di secondo livello.
Le parti, nel confermare la necessità di due livelli di contrattazione, nazionale e decentrato (aziendale o territoriale), condividono l’esigenza di assegnare ai medesimi compiti e funzioni distinti, onde poter rispondere alle esigenze di competitività delle imprese e di valorizzazione del lavoro.
La contrattazione nazionale, da un lato, mantiene il compito di garantire trattamenti economici e normativi comuni a tutti i lavoratori del settore, ovunque impiegati sul territorio nazionale, e regolatore delle relazioni sindacali a tale livello.
Alla contrattazione di secondo livello, invece, è delegata l’introduzione di trattamenti economici legati a obiettivi – individuati secondo standard qualitativi e quantitativi - di crescita della produttività aziendale, di efficienza, di redditività, di innovazione, attraverso i percorsi definiti nell’accordo interconfederale del 14 luglio 2016.
Il TEC e il TEM. Un nuovo trattamento economico.
L’accordo quadro assegna al contratto collettivo nazionale di categoria il compito di disciplinare una nuova forma di trattamento economico, composto dal c.d. “TEC”, Trattamento Economico Complessivo, costituito dal “TEM”, Trattamento Economico Minimo (i minimi tabellari), e dai trattamenti economici (incluse le eventuali forme di “welfare”) qualificati come “comuni a tutti i lavoratori del settore”, di cui lo stesso contratto ne qualificherà durata, causa e competenza nel livello di contrattazione, oltreché gli effetti economici “in sommatoria” fra il primo e il secondo livello di contrattazione collettiva.
La variazione dei valori dei minimi tabellari avverrà secondo le regole condivise, per norma o prassi, nei singoli CCNL, in funzione degli scostamenti registrati nel tempo dall’indice di inflazione Ipca (Indice dei Prezzi al Consumo Armonizzato per i Paesi dell’Unione Monetaria Europea), depurato dalla dinamica dei prezzi dei beni energetici importati come calcolato dall’Istat. Quindi, ciascun contratto potrà scegliere il meccanismo di aggiornamento degli importi.
Sempre sul piano economico, l’accordo prevede che, con quanto concordato a livello interconfederale, dovranno essere stabilite le linee di indirizzo per la contrattazione collettiva con riferimento a materie di interesse generale quali previdenza complementare, assistenza sanitaria integrativa, tutela della non autosufficienza, prestazioni di welfare sociale e conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, nell’ottica di favorire una “maggiore universalità delle tutele”.
La misura della rappresentanza datoriale. No al dumping salariale.
Le Parti hanno ribadito che “Democrazia sindacale, misurazione e certificazione della rappresentanza costituiscono uno dei pilastri fondamentali del modello di relazioni industriali”, nel solco delle regole del T.U. della rappresentanza sindacale del 2014. Di qui la necessità di impegnarsi a contrastare il proliferare dei contratti “pirata”, ossia quei contratti stipulati da soggetti senza nessuna rappresentanza certificata e finalizzati esclusivamente a dare copertura formale a situazioni di vero e proprio “dumping contrattuale”.
In questo quadro, un primo passo è quello di misurare la rappresentanza della parte datoriale. Un’azione che, secondo i firmatari, dovrebbe coinvolgere le istituzioni e, in particolare, il CNEL. Quest’ultimo potrebbe favorire questo percorso tramite una serie di attività ricognitive sia dei perimetri della contrattazione, che dei soggetti coinvolti, al fine di verificarne l’effettiva rappresentatività.
Viene tuttavia considerato anche un passaggio successivo: l’impegno a proporre a tutti i soggetti coinvolti alcune regole che assicurino il rispetto dei perimetri e ne impediscano la violazione da parte di soggetti privi di adeguata rappresentatività.
Sul punto le parti, forse pensando a un contratto collettivo valido erga omnes o comunque applicabile a tutti i lavoratori aderenti alle OO.SS. più rappresentative, concludono sottolineando che «Confindustria e Cgil, Cisl, Uil ritengono che l’efficacia generalizzata dei contratti collettivi di lavoro costituisca un elemento qualificante del sistema di relazioni industriali e che le intese in materia di rappresentanza possano costituire, attraverso il loro recepimento, il presupposto per la definizione di un quadro normativo in materia».
L’unità sindacale e il ruolo delle parti sociali.
In continuità con le precedenti intese, le parti colgono l’occasione per rinnovare il loro ruolo unitario, confermando di voler dare piena attuazione all’intero Testo Unico sulla rappresentanza. Per questo è prioritario e centrale l’avvio di un percorso di confronto su una serie di temi, come il Welfare, la formazione e competenze, la sicurezza sul lavoro, il mercato del lavoro e la partecipazione dei lavoratori, per sensibilizzare le istituzioni a sviluppare strumenti di sviluppo e di rilancio, e oggetto di futuri protocolli.
Sicurezza sul lavoro.
Viene definita “un obiettivo prioritario e un ambito privilegiato per sviluppare un sistema di relazioni industriali responsabile e partecipato”. Anche sotto questo profilo, l’accordo sottolinea l’importanza dei rappresentanti dei lavoratori a livello aziendale e territoriale, suggerendo sinergie con le iniziative istituzionali dell’Inail.
Tirando le somme, l’accordo ha un’importante valenza programmatica e di reciproci affidamenti, pur non contenendo novità rilevanti. Inoltre, sul piano giuridico, esso sconta i limiti di una disciplina contrattuale privatistica, per cui non è precettivo né vincolante rispetto alla generalità dei soggetti del rapporto sindacale (imprese, sindacati, firmatari e non dell’intesa, lavoratori).
A questo punto, si tratta di attendere le eventuali iniziative del Parlamento appena insediatosi sui temi affrontati dall’accordo quadro, nonché la messa in pratica dei principi generali in occasione della stipula dei prossimi CCNL.