di Michela Casula
Con la sentenza n. 18392 dell’8 giugno 2022 la Corte di Cassazione torna ad affrontare il tema dei rapporti tra risoluzione del contratto per effetto dell’inutile decorso del termine fissato nella diffida ad adempiere (art. 1454, co. 3 c.c.) e sorte della caparra confirmatoria ricevuta dalla parte non inadempiente.
La pronuncia in esame ha il chiaro intento di “dissolvere alcune opacità” createsi in relazione alla pregressa giurisprudenza sul punto, ai sensi della quale “se la domanda di accertamento dell'avvenuta risoluzione di diritto del contratto per inadempimento del promittente compratore nel termine assegnato a norma dell'art. 1454 c.c. (...) non è accompagnata dall'istanza di risarcimento del danno integrale ai sensi dell'art. 1453 c.c., e dell'art. 1385 c.c., comma 3, non è precluso alla parte adempiente di instare per la ritenzione della caparra come azione risarcitoria semplificata rispetto a quella che consegue all'azione di risarcimento integrale giudiziale per la risoluzione costitutiva” (cfr. Cass. n. 2999 del 28 febbraio 2012 e Cass. n. 553 del 14 gennaio 2009 espressamente richiamate).
Nel caso de quo il promissario acquirente di un immobile aveva convenuto in giudizio la promittente venditrice, domandando l’esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. dell’obbligo di concludere il contratto di compravendita, allegando, altresì, l’inadempimento della convenuta rispetto ai lavori di ristrutturazione. Aveva eccepito, inoltre, la nullità della diffida ad adempiere notificatagli dalla promittente venditrice e chiedeva, pertanto, la riduzione del prezzo di acquisto. In subordine, l’attore aveva domandato la risoluzione del contratto preliminare, con restituzione della caparra confirmatoria, oltre al risarcimento del danno.
La promissaria venditrice si costituiva in giudizio chiedendo l’accertamento della risoluzione del contratto preliminare di compravendita, prodottasi in via stragiudiziale attraverso l’inutile decorso del termine fissato nella diffida ad adempiere. Su tale base, la stessa riteneva di non dover esercitare il diritto di recesso ai fini del mantenimento della caparra, posto che il vincolo contrattuale doveva ritenersi già sciolto in ragione del meccanismo di cui all’art. 1454 c.c. . Ciò, malgrado l’art. 1385 comma 2 c.c. disponga che “se la parte che ha dato la caparra è inadempiente, l’altra può recedere dal contratto, ritenendo la caparra”.
Premesso che l’inadempimento del promissario acquirente risultava accertato dalla sentenza di merito, si trattava di valutare se sia consentito di abbinare la ritenzione della caparra prevista dall’art. 1385 comma 2 c.c. non all’esercizio del diritto di recesso previsto dallo stesso art. 1385 comma 2 c.c., ma all’effetto risolutorio scaturente dall’inutile decorso del termine assegnato con la diffida ad adempiere ex art. 1454 c.c. . Avendo, infatti, la promittente venditrice già conseguito l’obiettivo di sciogliersi dal contratto attraverso la diffida ad adempiere, la stessa non potrebbe più esercitare il diritto di recesso, non potendosi (logicamente, prima ancora che giuridicamente) recedere da un rapporto che si è già risolto.
Anche sulla scorta della sopra richiamata giurisprudenza, la Corte di Cassazione ha ritenuto che – in presenza dell'inadempimento della controparte (poi accertato in giudizio) – la parte non inadempiente che si è giovata dell’effetto risolutorio del contratto mediante la diffida ad adempiere, cui si è congiunto l'inutile decorso del termine, non deve perciò perdere il diritto di ritenere la caparra in funzione di liquidazione del danno predeterminata, forfettaria e sganciata dall’onere della prova.
Pertanto, la Suprema Corte ha deciso la controversia anche nel merito e ha emanato il seguente principio di diritto: “conseguita attraverso la diffida ad adempiere la risoluzione di un contratto cui è acceduta la prestazione di una caparra confirmatoria, l'esercizio del diritto di recesso è definitivamente precluso e la parte non inadempiente che limiti fin dall'inizio la propria pretesa risarcitoria alla ritenzione della caparra (o alla corresponsione del doppio di quest'ultima), in caso di controversia, è tenuta ad abbinare tale pretesa ad una domanda di mero accertamento dell'effetto risolutorio”.