di Francesco Cristiano
Con la sentenza n. 3789 del 2-3 maggio 2022 il Tribunale di Milano ha affrontato il tema dell’efficacia della formula, invero piuttosto ricorrente nelle conclusioni degli atti giudiziari, con cui viene chiesta la condanna della parte convenuta in giudizio al pagamento di un importo o di “quello maggiore o minore ritenuto dovuto o di giustizia”.
Nella fattispecie posta all’attenzione del Tribunale di Milano l’attore aveva chiesto la condanna del convenuto al risarcimento del danno extracontrattuale per occupazione sine titulo di un immobile. Nelle conclusioni dell’atto introduttivo, l’attore aveva quantificato la richiesta risarcitoria in una somma “X” determinata, aggiungendo a tale quantificazione la formula qui in commento. Nell’ambito del processo erano svolti approfondimenti istruttori (in particolare, una CTU), alla luce dei quali era risultato dovuto all’attore un importo “Y” maggiore rispetto a quello di “X” indicato nelle conclusioni originarie. Malgrado ciò, nel precisare le conclusioni, l’attore aveva reiterato la formula in esame, senza parallelamente aggiornare la quantificazione dell’importo “X” sostituendo a quest’ultimo l’importo “Y”.
In sede di decisione si poneva, dunque, la questione se il giudice potesse condannare il convenuto al pagamento della somma “Y”, emersa nell’istruttoria e maggiore di “X”, malgrado essa non fosse indicata nel petitum mediato delle conclusioni infine precisate dalla parte richiedente.
Il Tribunale di Milano ha dato una risposta negativa al predetto quesito.
Secondo il Giudice meneghino, infatti, la formula “somma maggiore o minore ritenuta dovuta” o altra equivalente, che accompagni nelle conclusioni la quantificazione dell’importo di cui è chiesta la condanna al pagamento, non può considerarsi di mero stile se utilizzata in un contesto, come ad esempio quello degli atti introduttivi, in cui vi sia una ragionevole incertezza sull’ammontare dell’importo da liquidare. L’utilizzo di tale formula in quella situazione processuale consente, pertanto, all’attore di aspirare ad una condanna della controparte ad un importo maggiore all’esito del giudizio, sempre che l’attore stesso tenga conto delle successive risultanze processuali, adeguando le conclusioni in occasione della loro precisazione.
Il Tribunale di Milano ha reputato, infatti, che la sopra citata formula debba essere considerata di stile, in quanto tale priva di effetto, qualora sia reiterata nelle conclusioni finali in uno al mero richiamo od alla semplice riproposizione delle conclusioni originarie e ciò che malgrado che, in corso di causa, per effetto dell’istruttoria esperita, sia stato accertato come liquidabile un importo maggiore rispetto a quello inizialmente prospettato. In una eventualità siffatta, la sentenza in commento ha ritenuto che il giudice debba liquidare il dovuto nei limiti della somma dedotta dall’attore nelle conclusioni, senza poter emettere statuizioni di condanna per il maggior importo valorizzato dall’istruttoria processuale.