Il punto su: diritto del socio di consultare documentazione sociale e tutela dei dati sensibili e delle esigenze di riservatezza dell’azienda
A cura di Vittorio Provera
Ci occuperemo in questa sede del tema concernente il bilanciamento di due opposti interessi: da un lato il diritto del socio di S.r.l. ad accedere alla documentazione sociale; dall’altro l’esigenza dell’azienda di tutelare dati sensibili, riguardanti la propria clientela, know how e informative riservate.
Il diritto di controllo del socio è riconosciuto dall’articolo 2476 comma II° c.c., il quale dispone che “i soci che non partecipano all’amministrazione hanno diritto di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento di affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali ed i documenti relativi all’amministrazione”. Si tratta dunque di uno strumento di controllo che attiva una sorta di “autotutela” dei soci, anche se non coinvolti nell’organo gestorio, sostanzialmente introdotto dalla riforma di diritto societario di cui al D. lgs. 17 gennaio 2003 n. 6 e che riconosce agli stessi il ruolo di garanti della buona gestione della società; ruolo esercitabile anche attraverso il controllo e la consultazione dei documenti. In tale ambito, il diritto di informazione e di consultazione come previsto dall’articolo 2476 c.c. non riguarda soltanto i libri sociali, ma tutti i documenti concernenti l’amministrazione e gestione aziendale (quindi, ad esempio, anche libro giornale, libro degli inventari, registri IVA, ecc.).
Delineato il campo del diritto di informazione, deve essere affrontato il tema concernente la sussistenza o meno di una facoltà di introdurre limiti all’esercizio del medesimo, a tutela di esigenze di riservatezza. Più precisamente, nell’ambito di società di capitali ( quale è una s.r.l. ) sussistono informazioni di carattere riservato, segreti e know how che, se oggetto diffusione, atti emulativi o utilizzo non in buona fede possono creare gravissimi problemi, anche per la stessa sopravvivenza aziendale. Occorre dunque verificare se esista una facoltà dell’azienda di opporre il segreto sociale, per contenere entro certi ambiti l’esercizio al diritto di consultazione. In proposito la giurisprudenza ha ritenuto - in linea di principio - che la disciplina inerente l’accesso dei documenti è sostanzialmente inderogabile (stante la citata norma codicistica). Tuttavia può essere valutato, nei casi specifici e concreti, se l’azione del socio possa avere un carattere emulativo, o ostruzionistico, o vessatorio. Proprio su tale argomento sono intervenute due recenti conformi pronunce del Tribunale di Milano, Sezione specializzata in materia di impresa, assunte nell’ambito di procedimenti cautelari ex art. 700 c.p.c. avviati da due soci di altrettante S.r.l. Il primo provvedimento del 27 febbraio 2017, reso nella causa R.G. n. 6980/17, riguarda un ricorso promosso da un Socio, titolare di una partecipazione pari al 5% del capitale sociale. Questi, premettendo di aver svolto attività di agente plurimandatario per detta azienda (rapporto interrotto dalla mandante, con successivi contrasti e contenziosi), richiedeva di poter aver accesso alla documentazione sociale sostenendo, fra l’altro, che sarebbero state attribuite somme, a titolo di provvigioni, ad altri soci che non avevano mai svolto attività di agenzia. La convenuta, a sua volta resisteva in causa, asserendo che l’esercizio da parte del ricorrente di attività di rappresentante di commercio (in ambito concorrenziale con quello della resistente), poteva determinare un forte pregiudizio ai danni della stessa, qualora fosse stato dato accesso alla documentazione richiesta ex adverso. Il Tribunale, esaminate le diverse posizioni, ha innanzitutto, confermato che il diritto di consultazione di cui all’art. 2476 comma II° c.c. non può essere oggetto di limitazione generale e non necessita di alcuna dimostrazione di specifico interesse da parte del socio. Infatti si tratta di uno strumento riconosciuto al fine di esercitare un potere di controllo, finalizzato alla verifica della gestione sociale in atto.
Svolta questa premessa, i Giudici hanno tuttavia ritenuto che, nel caso in esame (come in altri recenti procedimenti analoghi), il contemperamento del diritto di accesso del socio alle informazioni e nel contempo dell’esigenza di riservatezza della Società, “debba essere risolto alla luce del principio di buona fede, la cui applicazione allo specifico rapporto sociale comporta che il diritto alla consultazione della documentazione sociale e all’estrazione di copia possa trovare specifica limitazione – attraverso l’accorgimento del mascheramento preventivo dei dati sensibili presenti nella documentazione quali, ad esempio, i dati relativi ai nominativi di clienti e fornitori – laddove all’esigenza di controllo individuale della gestione sociale – a cui è preordinato il diritto del socio ex art. 2476 comma II° c.c. – si contrappongono non pretestuose esigenze di riservatezza fatti valere dalla Società”.
L’applicazione di detto principio al caso concreto è stato ritenuto ammissibile dal Tribunale per limitare ed evitare un uso potenzialmente pregiudizievole, da parte del socio che aveva agito in giudizio, dei dati ricavabili dalla documentazione, stante la posizione del medesimo soggetto, interessato ad assumere analoghi incarichi di rappresentante commerciale / agente per altri operatori del settore.
A livello operativo, la contro cautela del mascheramento dati sensibili impone dei costi, che il Tribunale ha messo a carico della resistente, trattandosi di una limitazione del diritto di informazione disposta nell’interesse della società resistente. A fronte di ciò, la facoltà del ricorrente di estrarre copia determina un onere in capo allo stesso, per le relative spese.
Come detto, analogo provvedimento era stato reso qualche tempo prima, sempre dal Tribunale di Milano, con provvedimento del 28 novembre 2016. Peraltro, in detto caso, l’Azienda era stata autorizzata a mascherare i dati individuanti l’identità dei clienti e fornitori; la documentazione relativa all’amministrazione della società, in particolare le fatture di acquisto e di vendita; nonché gli estratti conto.
Anche a fronte delle pronunce sopra riportate, ci si chiede se sia possibile introdurre, a livello statutario, clausole che possano disincentivare un utilizzo in mala fede o emulativo del diritto alla consultazione.
In argomento, ferma la non ammissibilità, a nostro avviso, di clausole derogatorie alla disciplina legale, dirette dunque ad incidere in pejus sul contenuto del diritto di controllo, si può pensare di intervenire, a livello statutario, con una più specifica disciplina delle modalità attraverso cui i soci possano esercitare i poteri di informazione e controllo. Ad esempio indicando le formalità da rispettare per richiedere l’accesso ai libri sociali; prevedendo termini di preavviso minimi; limitando il numero dei consulenti che possano essere coinvolti e loro requisiti ; imponendo obblighi di riservatezza in capo ai soci e consulenti; vietando qualsivoglia forma di divulgazione a fini concorrenziali, ecc.
Tali previsioni sarebbero considerate legittime ed anche opportune poiché, pur garantendo l’esercizio di quanto previsto dal codice in materia di informazione, sono idonee a prevenire un utilizzo abusivo del diritto.