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Telefonate a sfondo erotico durante l’orario di lavoro

Telefonate a sfondo erotico durante l’orario di lavoro: anche se il CCNL prevede, astrattamente, una sanzione conservativa, il Giudice può valutare le peculiarità del caso concreto ed escludere la reintegrazione

(Corte d’Appello di Milano, sentenza 12 gennaio 2018)

Causa seguita da Tommaso Targa

Con la sentenza in commento, emessa nell’ambito della fase di reclamo di un giudizio con “rito Fornero”, la Corte d’Appello di Milano ha esaminato il licenziamento intimato a un dipendente, con qualifica di quadro, per aver tenuto comportamenti contrari alla morale. Nello specifico, in occasione del suo primo giorno di lavoro in un ruolo e ufficio di nuova assegnazione, il dipendente ha effettuato due telefonate a contenuto erotico – sessuale, una delle quali con il telefono aziendale e l’altra con il proprio cellulare, alla presenza della sua nuova collega di stanza, con la quale non aveva alcuna pregressa confidenza.

Il Tribunale di Milano, sia in fase sommaria che in fase di opposizione, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento e condannato la società alla reintegrazione, senza svolgere alcuna istruttoria. Il Giudice di primo grado aveva, infatti, ritenuto che il comportamento contestato, se anche fosse stato provato, avrebbe comunque integrato la fattispecie del CCNL di categoria secondo cui, a fronte di atti contrari alla morale, al dipendente può essere irrogata solo una sanzione conservativa: di qui l’applicazione dell’art. 18, co. 4, St. Lav. secondo cui, per l’appunto, il lavoratore deve essere reintegrato quando il licenziamento è motivato da un comportamento in relazione al quale il CCNL prevede una sanzione meno grave (sospensione disciplinare o multa).

La Corte d’Appello, dopo avere svolto l’istruttoria e accertato il reale svolgimento dei fatti, ha riformato la sentenza di primo grado. La sentenza ha premesso che, sebbene il CCNL di categoria preveda la sanzione conservativa per comportamenti genericamente definiti come “contrari alla morale”, nel caso concreto “la vicenda, per la sua peculiarità, reiterazione ed unitarietà, per il tenore erotico – sessuale delle espressioni utilizzate, per il contestuale utilizzo dei mezzi aziendali, non si presti ad essere segmentata ed incasellata in alcuna delle previsioni per le quali ….il CCNL di settore prevede mere sanzioni conservative”. Inoltre, ai fini del giudizio di gravità degli addebiti, la sentenza ha evidenziato la qualifica di quadro del lavoratore licenziato, e la macroscopica violazione di “elementari regole di correttezza, di educazione e di rispetto”, peraltro ai danni di una donna.

Ciò premesso, la sentenza ha escluso la reintegrazione ex art. 18 co. 4, St. Lav. poichè gli addebiti sono sussistenti e, valutati nel loro insieme e in concreto, non ricadono in alcuna delle fattispecie conservative del CCNL di categoria.

La Corte d’Appello ha, però, applicato l’art. 18, co. 5, St. Lav., accertando la risoluzione del rapporto di lavoro, ma condannando la società al pagamento di un indennizzo pari a 18 mensilità. Tale decisione è stata motivata dal ritenuto difetto di proporzionalità del licenziamento, considerata la lunga durata del rapporto di lavoro e l’assenza di precedenti disciplinari.

Al di là delle peculiarità del caso concreto, la sentenza ha affermato un principio fondamentale. Essa ha rivendicato il potere / dovere del giudice di accertare l’effettivo svolgimento dei fatti e, quindi, escludere la reintegrazione quando il comportamento addebitato, pur potendo astrattamente ricadere in una fattispecie conservativa del CCNL di categoria, presenta profili di oggettiva gravità che sconfinano dalla ipotesi prevista pattiziamente dalle parti sociali. Si tratta di una interpretazione teleologica dell’art. 18, co. 4, St. Lav., recentemente affermata anche dalla Suprema Corte di Cassazione (Cass. civ. sez. lav. 5 aprile 2017 n. 8818 e 25 maggio 2017 n. 13178).   

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