A cura di Tommaso Targa e Leonardo Calella
Come può il datore di lavoro venire incontro al dipendente che non dispone di uno spazio proprio per lo svolgimento dell’attività lavorativa in smart working?
La risposta la fornisce il rapporto di lavoro “agile”, diffusosi soprattutto per le necessità imposte dall’emergenza epidemiologica. Tale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro si propone di superare il tradizionale paradigma della presenza in ufficio del dipendente, privilegiando la di lui responsabilizzazione attraverso la determinazione di risultati da raggiungere, entro tempi precisamente definiti, sotto la direzione e il coordinamento del datore di lavoro.
L’immaginario comune spesso associa il lavoro “da remoto” allo svolgimento della propria attività lavorativa individualmente entro le proprie mura domestiche. Ma quando questo non è possibile, le aziende devono tenere presente una valida alternativa – il coworking - di cui si tende a parlare poco. Il coworking – termine, privo di una propria traduzione in italiano, mutuato dagli Stati Uniti (ove si è originariamente diffuso nei primi anni duemila) – può essere definito come la condivisione di uno stesso luogo di lavoro, da parte di più dipendenti o collaboratori, non necessariamente della stessa azienda, per migliorarne le performances lavorative stimolandone la creatività, fuori dal tradizionale ufficio di lavoro.
Tale modalità di lavoro presuppone, a monte, la conclusione di un contratto tra il datore di lavoro e il concedente (sia esso un privato o un’azienda), con il quale quest’ultimo concede il godimento di uno spazio, eventualmente prevedendo anche l’erogazione di alcuni servizi complementari (ad esempio, la messa a disposizione di una connessione internet, la preparazione delle sale riunioni per videoconferenze, il servizio di portineria e di pulizia dei locali).
Il datore di lavoro dovrà aver cura di definire con chiarezza, nel contratto di coworking, il perimetro degli obblighi e delle responsabilità propri e del concedente dello spazio. L’ assetto contrattuale, così definito, si interseca, a valle, con la definizione degli obblighi che il datore di lavoro è tenuto ad ottemperare nei confronti di coloro che svolgono la propria attività lavorativa in regime di coworking. In assenza di una disciplina che regoli la materia, occorre far riferimento, per analogia, a quanto previsto dalla disciplina sul lavoro agile (L. 81/2017). In applicazione della relativa disciplina, il datore di lavoro che intenda introdurre nella propria impresa lo svolgimento dell’attività di lavoro in regime di coworking, deve, anzitutto, definire specifici accordi ad hoc con il personale coinvolto, regolando tutta una serie di aspetti che possano alimentare dubbi interpretativi (indicazione della sede di lavoro; indicazione delle giornate di lavoro da svolgere a distanza; indicazione delle modalità di esercizio del potere direttivo e di controllo del datore di lavoro; il diritto alla disconnessione e così via).
In linea con quanto sopra illustrato, sotto il profilo della salute e sicurezza, al fine di evitare probabili contenziosi, è opportuno - presentandosi situazioni di fatto potenzialmente rischiose – che il datore di lavoro elabori un’informativa sui rischi generici e specifici connessi allo svolgimento dell’attività in coworking, provveda ad aggiornare il Documento di Valutazione dei Rischi e formi il dipendente allo svolgimento dell’attività con strumenti informatici anche fuori dall’ufficio.
Infine, deve essere prevista una disciplina di dettaglio in materia di trattamento e tutela dalla diffusione dei dati aziendali per evitare il passaggio, più o meno volontario, di informazioni riservate e privilegiate tra i coworkers, a nocumento dell’organizzazione aziendale.