×

T&P Magazine

La polizza infortuni-limiti

A cura di Bonaventura Minutolo

L’ordinanza del giudice di legittimità, esaminando la tesi della ricorrente, secondo cui, poiché al rischio infortunio si applica la normativa dell’assicurazione sulla vita, considerato che l’art. 1927 esclude l’indennizzabilità della morte causata da suicidio nel solo caso in cui l’evento avvenga nel biennio dalla stipula della polizza (salvo patto contrario), l’assicuratore non avrebbe potuto rifiutare il pagamento dell’indennizzo, poiché il suicidio era avvenuto dopo il biennio, ha respinto il ricorso in quanto il rischio assicurato (vale a dire la morte determinata da evento infortunio violento ed esterno), costituiva quel patto contrario (previsto dalla norma dispositiva dell’art. 1927 c.c.), che escludeva l’indennizzabilità dell’infortunio mortale dovuto al suicidio.

Questa statuizione non risolve – anzitutto – la problematica interpretativa che la norma evidenzia.

Secondo autorevole dottrina – infatti – (Antonio La Torre etc.) “L’espressa previsione del patto contrario (di cui all’art. 1927 c.c.) si riferisce alla esclusione dell’intero rischio suicidio o, al contrario, di assumerlo ab initio e senza condizioni? O anche nel senso di restringere o ampliare il termine biennale di carenza?

Questa problematica non risulta essere stata considerata dall’ordinanza in esame, anche se – a nostro avviso – il problema non è interpretativo, ma si risolve considerando che l’infortunio è, concordemente, rapportato ad un “evento fortuito, violento ed esterno”, sicché il suicidio appare incompatibile con tale specifico evento.

In altre parole, il richiamo alla previsione dell’art. 1927 c.c. - nell’ambito della normativa che disciplina il ramo vita – appare inappropriato, ovvero – fermo restando che tale normativa è ritenuta applicabile al rischio “infortunio”, tuttavia quanto disposto dall’art. 1927 c.c. non può riferirsi anche all’infortunio, che, concordemente, non si concilia con il suicidio che non è un evento fortuito, violento ed esterno alla persona.

Verosimilmente, la Suprema Corte avrebbe dovuto – nell’ambito interpretativo di cui all’art. 12 delle preleggi – considerare che la correlazione tra norme codicistiche non può prescindere dalla compatibilità tra gli istituti disciplinati dalla normativa di riferimento.

Rassegna stampa

Iscriviti alla Newsletter

Tags

Vedi tutti >