di Mariapaola Rovetta
Eccoci alla fine del lockdown, ma non dell’emergenza sanitaria dovuta alla diffusione del Covid19.
In questa situazione c’è un argomento che è diventato oggetto di confronto: lo smart working.
Chi ha avuto il privilegio e la fortuna di poter continuare a lavorare durante il lockdown lo ha fatto da casa, ossia in smart working, anche se questo termine significa poter rendere la prestazione in qualunque luogo, non solo a casa, è sufficiente avere a disposizione il personal computer o lo smartphone, e si distingue dal telelavoro, che è la prestazione resa in un luogo diverso dalla sede aziendale, ma stabile.
Tornando allo smart working questo ha lo scopo per il datore di lavoro di avere un maggior risparmio in termini di costi dei luoghi di lavoro fissi e per il lavoratore di poter avere maggiori vantaggi in termini di equilibrio tra vita professionale e vita privata, con ottimi risultati per la produttività, tanto che alcune aziende hanno iniziato già da tempo ad utilizzarlo dando la possibilità ai dipendenti, secondo le loro esigenze, di poterne usufruire, alternando giornate in sede e giornate in smart.
E questa è una grande conquista.
Ma ora ci siamo trovati di fronte ad un fatto sensazionale: la tecnologia ha dato la possibilità ai più fortunati, ripeto, di continuare a portare avanti il proprio lavoro in un momento eccezionale e drammatico, con grande vantaggio per il benessere psicofisico, e mentre si avvicina sempre di più il momento di poter tornare nelle proprie sedi, molti di coloro che ho definito “fortunati” hanno manifestato il desiderio di voler continuare a lavorare in smart working, a prescindere dalla situazione sanitaria, al punto tale che alcune aziende, anche negli Stati Uniti, stanno pensando, e alcune lo hanno già fatto, di dismettere gli uffici, utilizzando solo smart workers, ma c’è il rovescio della medaglia. Come sempre bisogna trovare il giusto equilibrio.
Non lasciamo che un fatto così positivo e costruttivo come si è rivelata la possibilità di integrare la vita dei dipendenti con lo smart working, dando loro la possibilità di continuare ad essere produttivi, efficienti ed inseriti nel contesto professionale, e dunque sereni e realizzati, grazie a tutti gli strumenti che consentono di restare in contatto con colleghi e clienti dovunque essi siano nel mondo, sostituisca il piacere delle relazioni sociali, anche se talune, in alcune situazioni, possono essere impegnative, a causa della competizione o del confronto, ma pur sempre istruttive. Al riguardo, non dimentichiamo due categorie di persone:
1) le donne, e non parliamo di donne con la possibilità di scegliere tempi e luoghi della propria prestazione lavorativa, senza che ciò abbia alcun impatto sulla propria vita professionale e privata, ma di tutte quelle donne che danno un grande contributo alla classe lavoratrice senza aver rinunciato alla famiglia e che grazie ad una lotta durata 60 anni sono riuscite a conquistare l’indipendenza. Anziché aiutarle a mantenere ciò che hanno ottenuto, magari costruendo asili nido e scuole materne vicino alle aziende, le costringiamo a lavorare in smart working, ma questo significa nella sostanza costringerle a “tornare” in casa, dove, oltre a dover lavorare, devono cucinare, stirare, fare le pulizie, occuparsi dei bambini, togliendo loro la gioia e l’entusiasmo di poter uscire e di potersi realizzare anche nel contesto socio professionale, oltre che in quello personale;
2) i giovani, coloro che oggi hanno 20/30 anni, perché se diamo loro la possibilità di lavorare da remoto, si darà loro la possibilità di essere ancora piu’ comodi di coloro che sono nati tra la fine degli anni ’60 e gli anni ’70 e che sono già cresciuti in un contesto ricco di comfort, ma togliamo loro anche la possibilità di imparare attraverso un confronto quotidiano con i colleghi piu’ maturi e non solo per quanto riguarda l’aspetto tecnico - professionale, ma anche quello comportamentale; togliamo loro, già nati e cresciuti nell’era dei social, la possibilità di veder nascere amicizie, di impegnarsi svegliandosi presto la mattina per essere puntuali ad una riunione, tornando a casa la sera stanchi, ma dopo aver trascorso giornate caratterizzate da tanti eventi, ed è ciò che si verificherà dal momento che con Zoom e Microsoft Teams le riunioni ora si possono fare dovunque, senza dover raggiungere gli interlocutori che si trovano sparsi per il mondo.
Inoltre, c’è un’altra problematica che riguarda entrambe le categorie a cui ho appena accennato. Dove lavoreranno queste persone? Non sappiamo se hanno tutti la possibilità di rendere la loro prestazione in un luogo confortevole, con le misure di sicurezza richieste, concentrandosi nell’arco della giornata lavorativa, che comprende la mattina ed il pomeriggio, momenti in cui il cervello è riposato e il fisico energico, senza essere disturbati, potendo, nel contempo, ritagliare tempi per il riposo, lo sport o qualsiasi altra attività che consenta all’individuo di recuperare le energie per il benessere psico-fisico, rispettando così i dettami di un concetto di cui improvvisamente, dopo l’emergenza Covid19, non si parla più, la sostenibilità, ossia un maggior rispetto per l’ambiente, ma anche per l’etica e per il benessere della persona.
In conclusione, non lasciamo che la tecnologia che ha reso la vita più piacevole e ci ha reso più efficienti con lo smart working sostituisca lo scambio culturale, la curiosità, la voglia di conoscere, di muoversi, anche se ciò può significare stancarsi, ma anche avere tante cose da raccontare in famiglia, o agli amici, con arricchimento anche di questi ultimi, senza dimenticare che se con lo smart working il datore di lavoro risparmia, a farne le spese saranno tutti quei caffè, ristoranti, parrucchieri, negozi di abbigliamento, palestre, che si animano durante la pausa pranzo o la sera grazie a coloro che escono dagli uffici per vivere e riempire di gioia il centro delle nostre città, perché se è comodo lavorare in modo definitivo in smart working, che nella sostanza significa a casa, è probabile che, in pausa pranzo o la sera, gli smart workers non siano tutti così smart da essere carichi e pronti per uscire e prendere parte alla vita “fuori casa”.
E, intanto, limitiamoci a sperare che torni il momento per tutti noi di poter decidere se stare a casa o uscire, perché per ora c’è un virus che lo sta facendo al posto nostro.