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T&P Magazine

Smart working e stile di vita

A cura di Mariapaola Rovetta

Come ormai noto, lo smart working, o modalità di lavoro agile, è disciplinato dalla Legge n. 81/17 che rinvia agli Accordi individuali per quanto riguarda la modalità di esecuzione. Infatti, non si tratta di una diversa tipologia di rapporto di lavoro, bensì di una diversa modalità di esecuzione della prestazione che consente di lavorare, in genere a giornate alterne, al di fuori dei locali aziendali, ma in un luogo non stabile, a differenza del telelavoro, e con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, senza precisi vincoli di lavoro e con l’utilizzo di strumenti tecnologici. I controlli sull’attività non sarebbero previsti, in quanto ciò che rileva è il risultato. Ma sia che si tratti di lavoro agile a giornate alterne o di full smart working, il confronto con colleghi e superiori ed il ruolo del datore di lavoro anche riguardo lo stile di vita che le persone conducono è fondamentale.

Il motivo risiede nella necessità di salvaguardare la salute delle persone. Un’altissima percentuale di popolazione nel mondo vive in una condizione di eccesso ponderale. L’Organizzazione mondiale della sanità l’ha definita una vera e propria epidemia globale che è la causa di gravissime patologie, ma che potrà essere nei prossimi anni la causa anche di gravi problemi al sistema sanitario se non si agirà nell’immediato per porvi rimedio. L’educazione alimentare e quella ad un miglior stile di vita inizia nelle scuole e nel contesto lavorativo, luoghi dove non è importante solo studiare e lavorare, ma dove il soggetto ha la possibilità di evolvere, conoscere ed imparare anche attraverso l’esempio che gli altri possono dare, oltre al ruolo che, appunto, anche il datore di lavoro deve svolgere. E questo è importante soprattutto anche in caso di smart working, dove manca il confronto con gli altri. Le persone, dunque, in quanto appartenenti ad un determinato contesto aziendale, non devono essere dimenticate ed abbandonate a sé stesse. Infatti, pur dimostrando efficienza e produttività, potrebbero star trascurando la loro salute, anche inconsapevolmente. Ma fino a dove può spingersi il datore di lavoro? E’ evidente infatti che vi è pur sempre anche la volontà della persona di scegliere, oltre al dovere del datore di prestare attenzione al messaggio che viene dato per evitare di incorrere nel divieto di discriminazione a causa dell’aspetto fisico. Nella maggior parte dei casi le aziende, per incentivare i dipendenti a tenere una condotta sostenibile anche nella sfera privata, mettono a disposizione benefits, ma, in alcuni Paesi, argomento questo che è già stato trattato in precedenti articoli, il dovere ad educare, informare e stimolare gli individui ad un migliore stile di vita sulla base delle direttive dell’Organizzazione Mondiale della Sanità è diventato anche un obbligo inserito all’interno dell’orario di lavoro. E questo è sufficiente per dimostrare quanto il problema dell’obesità sia diventato grave.

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