(Trib. Brescia, 30 luglio 2019, n. 524)
Causa seguita da Marina Olgiati
Devono essere restituite le somme percepite dal dipendente in esecuzione di un provvedimento di reintegrazione, successivamente revocato, a cui l’azienda ha dato solo formale esecuzione.
Questa la decisione del Tribunale di Brescia, che, confermando un licenziamento e revocando l’ordinanza che ne aveva, invece, dichiarata l’illegittimità, ha respinto, altresì, la domanda riconvenzionale proposta nella fase di opposizione, rito Fornero, da una lavoratrice, la quale aveva chiesto di accertare la non ripetibilità degli importi ad essa versati dall’azienda, che l’aveva reintegrata solo formalmente nel posto di lavoro. La società datrice, infatti, aveva ottemperato alla prima ordinanza scegliendo di non reinserire in servizio la dipendente, pagandole, tuttavia, tutte le retribuzioni a far data dal licenziamento.
Il Tribunale, pacifico il fatto che la lavoratrice, a seguito del provvedimento di reintegrazione, non aveva prestato attività lavorativa in quanto dispensata dalla società, si è uniformato al più recente orientamento della giurisprudenza della Corte di Cassazione, secondo cui il titolo sotteso all’esborso patrimoniale sostenuto dal datore di lavoro non ha natura retributiva – attesa l’assenza di una controprestazione lavorativa – bensì risarcitoria, con la conseguenza che la riforma del provvedimento di reintegrazione rende ingiustificato il pagamento effettuato dal datore di lavoro, che ha diritto di ripetere gli importi versati al lavoratore licenziato (Cass. 11 dicembre 2006, n. 26340). La decisione è coerente con il tenore letterale dell’art. 18, Stat. Lav. (che attribuisce natura “risarcitoria” alle somme corrisposte al lavoratore per effetto dell’annullamento del licenziamento) ed è “in linea con la nozione di retribuzione ricavabile dalla Costituzione (art. 36) e dal codice civile (artt. 2094, 2099), per cui il diritto a percepirla sussiste solo in ragione (e in proporzione) dell’eseguita prestazione lavorativa”, secondo quanto di recente osservato dalla Corte Costituzionale (Corte Cost. 23 aprile 2018, n. 86).
Da ciò è conseguita l’inaccoglibilità della tesi sostenuta dalla lavoratrice, che aveva invocato, a supporto, gli artt. 1458 e 2126 cod. civ.: tali disposizioni - ha osservato Tribunale - riguardano la conservazione degli effetti relativi a prestazioni già materialmente eseguite a favore della controparte contrattuale (tra le altre, Cass. 21 novembre 2016, n. 23645 e Cass. 30 giugno 2016, n. 13472), mentre, nel caso giudicato, la dipendente non aveva reso alcuna prestazione a favore dell’azienda dopo il licenziamento.