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Reintegrazione ex art. 18 co. 4 Statuto dei Lavoratori: l'interpretazione di sanzione conservativa deve tener conto della volontà dei contraenti collettivi

Corte di Cassazione, sentenza 28 maggio 2019

Causa seguita da Tommaso Targa

 

La sentenza in commento, insieme alla sentenza 9 maggio 2019 n.12365, rappresenta – ad oggi - il punto di approdo della Cassazione in materia di applicazione dell’art. 18 co. 4 St. lav. norma che – come noto, dopo l’entrata in vigore della l. 92/2012 (riforma Fornero) - prevede la reintegrazione sul posto di lavoro in due ipotesi di licenziamento disciplinare: a) il fatto contestato non sussiste, o non ha rilevanza disciplinare perché non costituisce inadempimento di alcun obbligo; b) il fatto contestato integra una fattispecie per cui il C.C.N.L. applicato al rapporto di lavoro prevede una sanzione conservativa. Il caso esaminato dalla sentenza in commento è emblematico delle problematiche connesse alla seconda ipotesi.

 

Le pregresse vicende processuali. Il licenziamento di cui discutiamo è stato intimato a un dipendente, con qualifica di quadro, per aver tenuto comportamenti contrari alla morale. Nello specifico, in occasione del suo primo giorno di lavoro in un ruolo e ufficio di nuova assegnazione, il dipendente ha effettuato due telefonate a contenuto erotico – sessuale, una delle quali con il telefono aziendale e l’altra con il proprio cellulare, alla presenza della sua nuova collega di stanza, con la quale non aveva alcuna pregressa confidenza.

 

Il Tribunale di Milano, sia in fase sommaria che in fase di opposizione, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento e condannato la società alla reintegrazione, senza svolgere alcuna istruttoria. Il Giudice di primo grado aveva, infatti, ritenuto che il comportamento contestato, se anche fosse stato provato, avrebbe comunque integrato la fattispecie del CCNL di categoria secondo cui, a fronte di “atti contrari alla morale”, al dipendente può essere irrogata solo una sanzione conservativa: di qui l’applicazione dell’art. 18, co. 4, St. Lav. secondo cui, per l’appunto, il lavoratore deve essere reintegrato quando il licenziamento è motivato da un comportamento in relazione al quale il CCNL prevede una sanzione meno grave (sospensione disciplinare o multa).

 

La Corte d’Appello di Milano, dopo avere svolto l’istruttoria e accertato il reale svolgimento dei fatti, ha riformato la sentenza di primo grado. La Corte ha premesso che, sebbene il CCNL di categoria preveda la sanzione conservativa per comportamenti genericamente definiti come “contrari alla morale”, nel caso concreto “la vicenda, per la sua peculiarità, reiterazione ed unitarietà, per il tenore erotico – sessuale delle espressioni utilizzate, per il contestuale utilizzo dei mezzi aziendali, non si presti ad essere segmentata ed incasellata in alcuna delle previsioni per le quali ….il CCNL di settore prevede mere sanzioni conservative”. Inoltre, ai fini del giudizio di gravità degli addebiti, la Corte d’Appello ha evidenziato la qualifica di quadro del lavoratore licenziato, e la macroscopica violazione di “elementari regole di correttezza, di educazione e di rispetto”, peraltro ai danni di una donna. Ciò premesso, la sentenza di secondo grado ha escluso la reintegrazione ex art. 18 co. 4, St. Lav. poiché gli addebiti sono sussistenti e, valutati nel loro insieme e in concreto, non ricadono in alcuna delle fattispecie conservative del CCNL di categoria.

Il lavoratore, soccombente in appello, ha proposto ricorso in cassazione lamentando la violazione sia dell’art. 18 co. 4 st. lav. che della disposizione del CCNL di che trattasi.

 

Il principio di diritto affermato dalla Cassazione. La sentenza in commento ha rigettato il ricorso del lavoratore sulla base di un articolato percorso logico giuridico.

 

1) Anzitutto, la sentenza ha affermato che, nell'esprimere un giudizio sulla legittimità del licenziamento, il giudice del merito deve preliminarmente accertare se sussiste la giusta causa o il giustificato motivo soggettivo, secondo la previgente nozione legale ex art. 2119 cod. civ.. Laddove il giudice ritenga che non ricorre la giusta causa, deve effettuare una ulteriore disamina per verificare l’eventuale sussistenza delle condizioni previste dall’art. 18 co. 4 St. Lav.:  deve, infatti, verificare se, in base al C.C.N.L. di categoria, esista una fattispecie contrattuale corrispondente al fatto contestato per cui le parti collettive hanno previsto una sanzione conservativa.

 

2) A questo punto, la sentenza ha richiamato la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, antecedente alla riforma Fornero, secondo cui “avuto riguardo alle previsioni della contrattazione collettiva che riguardano le sanzioni disciplinari …  essendo quella della giusta causa e del giustificato motivo una nozione legale” vale “il generale principio che tali previsioni non vincolano il giudice di merito… anche se la scala valoriale ivi recepita deve costituire uno dei parametri su cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c.”.

Ciò premesso, la sentenza ha ritenuto che - stante il principio generale di cui sopra, per cui le previsioni del C.C.N.L. di norma non dovrebbero vincolare il giudice – l’art. 18 co. 4 St. Lav., nella parte in cui prevede, invece, la necessaria reintegrazione quando le parti collettive hanno previsto, per un certo comportamento, una sanzione conservativa - rappresenta una disposizione di natura eccezionale, proprio perché deroga al principio generale de quo: “in tal caso il giudice è vincolato dal contratto collettivo, trattandosi di una condizione di maggior favore fatta espressamente salva dal legislatore”.

 

3) Partendo dalla natura eccezionale della previsione ex art. 18 co. 4 St. Lav., la sentenza ha dedotto che tale norma impone una interpretazione rigorosa e non estensiva delle previsioni del C.C.N.L. di categoria relative alle sanzioni disciplinari conservative. A tale conclusione, la sentenza è giunta partendo dalla propria consolidata giurisprudenza per cui le norme del contratto collettivo, in considerazione della natura privatistica di quest’ultimo, vanno applicate ed interpretate secondo i canoni di ermeneutica contrattuale ex artt. 1362 e ss. cod. civ.. In particolare, bisogna tener conto delle “conseguenze normali volute dalle parti” e, dunque, utilizzare il criterio della interpretazione teleologica per cui il contratto (e così pure il contratto collettivo) va interpretato alla luce volontà dei contraenti, desumibile da ogni utile elemento di valutazione.

Ciò vale in particolare per le disposizioni disciplinari del C.C.N.L. che, a taluni comportamenti, fanno conseguire una sanzione conservativa. Tali disposizioni, secondo la Cassazione, vanno esaminate “con particolare severità in un contesto …  nel quale trova applicazione il principio generale secondo cui una norma che prevede un’eccezione rispetto alla regola generale deve essere interpretata restrittivamente”.

 

4) Concludendo, la sentenza ha affermato il principio di diritto secondo cui “non può dirsi consentito al giudice, in presenza di una condotta accertata che non rientri in una di quelle descritte dai contratti collettivi ovvero dai codici disciplinari come punibili con sanzione conservativa, applicare la tutela reintegratoria operando una estensione non consentita … al caso non previsto sul presupposto del ritenuto pari disvalore disciplinare”. Il giudice di merito - nel valutare se una ipotesi di sanzione conservativa prevista dal C.C.N.L. di categoria sia applicabile al caso concreto – deve, quindi, effettuare una “ricerca rigorosa della volontà delle parti sociali come espressa nella individuazione dei casi da punire con sanzione conservativa” sulla base di una “interpretazione ragionevolmente orientata in base al principio regola-eccezione”.

 

5) Alla luce del principio di diritto come sopra affermato, la Cassazione ha ritenuto corretta la sentenza della Corte d’Appello di Milano. Preso atto che il C.C.N.L. di categoria prevede una sanzione conservativa per comportamenti genericamente definiti “contrari alla morale”, la Cassazione ha ritenuto condivisibile la necessità - espressa dalla sentenza di secondo grado - di interpretare la volontà dei contraenti, che certo non poteva essere quella di escludere categoricamente la reintegrazione a fronte di qualunque comportamento “immorale”, fino ad includere molestie a sfondo sessuale o atti illeciti (persino quelli penalmente rilevanti).

 

In secondo luogo, proprio perché le previsioni del C.C.N.L. di categoria non possono essere interpretate estensivamente e, comunque, devono tener conto della volontà dei contraenti, la Cassazione ha condiviso le valutazioni del giudice del merito che - con argomenti logici ed esenti da vizi -  ha escluso la sussunzione del caso concreto nella fattispecie disciplinare prevista dal C.C.N.L. di categoria (atti contrari alla morale) perché: a) il comportamento contestato al lavoratore, oltre ad essere reiterato, integra la violazione anche di altre ipotesi di sanzione disciplinare, ad esempio l’utilizzo improprio di strumenti di lavoro; b) le parti collettive, prevedendo una sanzione conservativa per “atti contrari alla morale”, avevano in mente condotte prive di notevole gravità, tanto più con riferimento a comportamenti contrari alla morale sessuale e qualificabili come molestia ai danni di una donna. Nel caso di specie, l’aver costretto una collega ad ascoltare due telefonate a sfondo erotico, dal contenuto peraltro estremamente volgare (come emerso in seguito all’istruttoria svolta in appello) ha correttamente indotto il giudice del merito a ritenere il comportamento non banalizzabile come un generico “atto contrario alla morale”, bensì una vera e propria molestia a sfondo sessuale ai danni della collega.

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