Quando si può ottenere trasferimento per assistere un parente invalido?
Un lavoratore può ottenere il trasferimento per assistere un parente invalido? Sì, ma solo se nella sede di destinazione esistono posizioni vacanti: l’azienda non è obbligata a creare per lui una posizione lavorativa ad hoc, né a trasferire altri dipendenti per “fare spazio” al richiedente. Il trasferimento, in altre parole, non deve arrecare danno al datore di lavoro nelle sue esigenze economico-produttive. Lo ha statuito il Tribunale di Sassari in una sentenza emessa lo scorso 31 luglio 2018.
La vicenda definita dalla sentenza è quella di un dipendente, titolare dei benefici descritti appunto nell’articolo 33 della legge 104/1992, che aveva richiesto il trasferimento in una sede lavorativa più vicina alla residenza del parente che doveva assistere. Trasferimento che, però, gli era stato negato: per questo, egli aveva citato in giudizio l’azienda. Ebbene, il Tribunale ha rigettato la sua richiesta, dando ragione al datore di lavoro.
Le motivazioni della sentenza
La normativa di riferimento è appunto la legge 104 del 1992 che riguarda l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone disabili, una normativa che negli ultimi anni si è spesso trovata al centro dell’attenzione mediatica a seguito di modifiche legislative e molteplici casi di cronaca. All’articolo 33, nello specifico, essa prevede che “Il lavoratore di cui al comma 3 ha diritto a scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere e non può essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede”.
Di particolare interesse, in questo caso, è l’inciso “ove possibile”: cosa significa? Che il diritto del lavoratore a essere trasferito non è assoluto, ma subordinato alla disponibilità di posizioni vacanti compatibili con il suo profilo professionale.
La legge, in sostanza, attribuisce al lavoratore una sorta di diritto di prelazione all’assegnazione di un posto di lavoro nella sede preferita (perché più vicina alla persona da assistere), diritto che però non può essere esercitato indipendentemente dalle esigenze tecnico-produttive o organizzative dell’azienda per cui lavora.
In assenza di posti disponibili da coprire, l’azienda quindi non ha l’obbligo di creare una nuova posizione lavorativa non prevista dall’organico aziendale, né di trasferire eventuali altri lavoratori per fare spazio al dipendente che ha richiesto il trasferimento.
L’azienda, in altre parole, non deve essere danneggiata dal trasferimento: se sussistono condizioni oggettive (e non discrezionali) di impedimento, il lavoratore non può rivendicare il proprio diritto.
Un’alternativa: il distaccamento in società dello stesso gruppo
La sentenza del Tribunale di Sassari ha ricordato semmai la possibilità di distaccare eventualmente il lavoratore in società dello stesso gruppo: in questo caso, anche se cambia il soggetto giuridico per cui il dipendente presta la sua opera, non si configura una violazione del divieto di interposizione di manodopera, poiché il datore di lavoro distaccante ha uno specifico interesse a contribuire alla realizzazione di una struttura organizzativa comune, come sancito da una recente sentenza della Cassazione.
Chi ha diritto a richiedere il trasferimento?
Può richiedere il trasferimento ai sensi della legge 104 il lavoratore dipendente (pubblico o privato), che assiste una persona con handicap grave che sia suo coniuge, parente o affine entro il secondo grado, oppure entro il terzo grado se i genitori o il coniuge del disabile sono anziani, deceduti, mancanti o a loro volta invalidi.
Il lavoratore che richiede il trasferimento e il parente disabile devono vivere insieme? No, dal 2000 è stato eliminato il requisito (prima vigente) della convivenza con la persona da assistere. Rimane comunque necessario che l’assistito sia in possesso di una certificazione di portatore di handicap in condizioni di gravità e non sia ricoverato a tempo pieno.
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