A cura di Federico Manfredi
La giurisprudenza – si sa – alle volte ha veramente un certo british humour nel governare l’interpretazione delle norme di legge e conseguentemente le sorti economiche del mercato del lavoro.
Eppure, la recente pronuncia del Tribunale di Ravenna, del 12 gennaio 2022, non può che catturare l’attenzione. Infatti, con tale pronuncia il Giudice di merito si è apertamente posto in contrasto con l’orientamento assunto dalle Sezioni Unite n. 30985/17, in materia di conseguenze della tardività della contestazione disciplinare.
Orbene, solo quattro anni fa, le SS. UU. avevano posto fine ad un acceso contrasto giurisprudenziale stabilendo che “La dichiarazione giudiziale di risoluzione del licenziamento disciplinare conseguente all'accertamento di un ritardo notevole e non giustificato della contestazione dell'addebito posto a base del provvedimento di recesso, ricadente, in base al tempo nella disciplina dell'articolo 18 della legge 300/1970, come modificato dalla riforma Fornero legge 92/2012, articolo 1 comma 42) comporta l'applicazione della sanzione dell'indennità prevista dal quinto comma dell'articolo 18; non spetta, invece, la reintegrazione sul posto di lavoro, in quanto tale sanzione si applica a fattispecie diverse e più gravi. Le sezioni Unite risolvono così il rilevante contrasto interpretativo sorto in merito al regime sanzionatorio da applicare ai licenziamenti che risultano illegittimi per tardività della contestazione disciplinare”.
Il Tribunale ha espressamente motivato che tali considerazioni sono da disattendersi, rinverdendo così un tema interpretativo ormai percepito come pacifico, motivando che – sebbene l’impostazione interpretativa della Suprema Corte fosse corretta – le conclusioni da quest’ultima tratte sarebbero invece inconsistenti.
Di certo non è possibile criticare la sentenza del Tribunale di Ravenna per aver disatteso una pronuncia a Sezioni Unite, non sussistendo alcun vincolo allo stare decisis nel nostro sistema processuale. Tuttavia rimane il fatto che l’iter logico seguito dal Giudice di merito sia meritevole di alcune riflessioni.
Infatti, secondo la sentenza in esame, in caso di contestazione tardiva, la sanzione applicabile è la reintegrazione, dovendosi ritenere che la prolungata inerzia del datore di lavoro fronte al comportamento del dipendente possa essere considerata una dichiarazione implicita della volontà di non perseguire il fatto. Prosegue il Tribunale ravegnano che “mancando il requisito dell’antigiuridicità, il fatto tardivamente contestato è un fatto insussistente e dunque va applicata la tutela reale, laddove un fatto “perdonato” - divenuto quindi disciplinarmente irrilevante - non può ritornare a essere un fatto disciplinarmente rilevante e giustificare un licenziamento”.
Ciò che in realtà è accaduto nella pronuncia di cui trattasi è un vero e proprio cortocircuito argomentativo.
Infatti, il ragionamento – che visto dall’interno può anche avere una sua consistenza –, se contemplato nella sua globalità, presenta invece una vistosa fallacia argomentativa. Ciò, in quanto il Giudicante ha interpretato il significato generale ed astratto della norma, servendosi delle circostanze del fatto concreto. La pronuncia ha ritenuto che, essendovi nel fatto concreto un “perdono” della condotta addebitata, dovesse ricavarsene sul piano normativo un generale significato della disposizione ex art. 18 St. lav. in senso difforme ed estensivo rispetto all’arresto delle SS. UU. n. 30985/17. In breve, la pronuncia del Tribunale di Ravenna ha interpretato il diritto servendosi del fatto, al posto di sussumere il fatto sotto la corretta fattispecie normativa generale ed astratta previamente interpretata. E ciò in aperto contrasto con i criteri interpretativi dettati dall’art. 12 delle Preleggi.
Pertanto, se il giudicante nel proprio libero convincimento ritenesse il fatto “perdonato” dal datore, ben potrebbe ritenere lo stesso insussistente, ma dovrebbe motivare tale assunto sulla base delle circostanze juxta alligata et probata. Al contrario, non è condivisibile rimettere tale valutazione alle scelte politiche operate in via generale ed astratta dalla disciplina della tardività della contestazione disciplinare, attinente al ben differente caso della mera irregolarità procedurale e – conseguente – mera lesione del diritto di difesa del dipendente incolpato.
Certamente, trattasi di un rinnovato “fronte” giurisprudenziale che di fatto aprirà nuovamente il dibattito sull’art. 18 St. lav., rendendo ancora una volta assai incerta la prevedibilità ex ante da parte del datore di lavoro delle conseguenze del recesso intimando, nonostante le recenti Sezioni Unite del 2017.