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Nulla la sentenza di fallimento del casinò, ma ormai l’azienda non esiste più

Nel 2018 si è registrato un fatto unico in Italia, il fallimento - dichiarato dal Tribunale di Como ( sent. n. 92 del 25/07/2018) – di una società di proprietà pubblica, costituita per la gestione di una Casa da Gioco. Con sentenza n. 1055 del 11/03/2019, la Corte di Appello di Milano ha annullato detta pronuncia, con rimessione delle parti avanti al Tribunale. Nel frattempo, non essendo stato disposto alcun esercizio provvisorio, la realtà aziendale si è sostanzialmente dissolta, essendo stati risolti i rapporti di lavoro, annullati tutti i contratti con i fornitori, con cessazione di ogni iniziativa correlata alle attività proprie di un casinò. Per una miglior comprensione, si ricostruisce sinteticamente la vicenda. Si segnala preliminarmente che la S.p.A. - istituita con legge 174/2012 - può essere partecipata solo dal Comune di Campione d’Italia, con il fine di consentire allo stesso di disporre di risorse necessarie per il conseguimento del pareggio bilancio.

Nel gennaio 2018 la Procura della Repubblica di Como depositava istanza per la dichiarazione di fallimento della Casinò di Campione S.p.A.. La Società contestava di essere fallibile, nonché la sussistenza dello stato di insolvenza. Quindi depositava istanza di concordato, riservandosi di presentare un piano concordatario o, in alternativa, domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione del debito. Era quindi elaborato un piano di ristrutturazione che coinvolgeva anche il personale. Il Tribunale assegnava termine fino al 25/7/18 per la presentazione della proposta definitiva, fissando udienza al 17/9/18 per l’audizione del debitore. Questi depositava una memoria sull’accordo di ristrutturazione, con anticipo di adesione  del  69% dei creditori, fra cui il Comune e l’unica Banca  in gioco. Nel frattempo era dichiarato il dissesto del Comune con nomina di un Commissario Straordinario che, in pochi giorni, dichiarava di non poter sottoscrivere il piano. La debitrice chiedeva un ulteriore termine per raccogliere l’adesione del Commissario, previa  specificazione dei contenuti e considerando l’udienza fissata al 17 settembre. Il Tribunale respingeva la richiesta, con conseguente pronuncia di fallimento; oggetto di separati reclami del Comune, della debitrice e della Banca. I giudici di appello hanno accolto il reclamo per mancato rispetto del “obbligo di audizione del debitore ex art. 162 comma 2^ L.F. per consentire allo stesso di svolgere le proprie difese prima della pronuncia di inammissibilità…”. In sostanza, alla domanda di concordato doveva essere equiparata anche quella di omologazione dell’accordo di ristrutturazione del debito. In tale situazione la debitrice, depositati gli accordi, avrebbe dovuto essere convocata e sentita, stante anche l’ udienza del 17 settembre ( che poteva essere eventualmente anticipata). Per la Corte, la mancata audizione integra una violazione del fondamentale diritto costituzionale di difesa, con nullità della sentenza di fallimento. Nel frattempo, in assenza dell’esercizio provvisorio, anche a seguito del licenziamento collettivo del personale, l’organizzazione aziendale si è tuttavia dissolta. Tutto ciò rende a dir poco incerta una sollecita ripresa dell’attività, tanto meno con l’esecuzione dell’originario piano di ristrutturazione elaborato.

Al riguardo, la stessa Procura della Repubblica - dopo la pronuncia della Corte -  ha presentato istanza di riassunzione della procedura concorsuale avanti il Tribunale, evidenziando, peraltro, il peggioramento della situazione di stato passivo ed asserendo che la possibile riapertura della Casa da Gioco - ad opera della medesima Società - non risulta un’ipotesi percorribile anche per le condizioni di inattività ormai protratta della medesima oltre che per altri fattori. L’udienza di comparizione è fissata dal Tribunale Fallimentare di Como il prossimo 13 maggio. Dunque è probabile che vi sia necessità di individuare altre soluzioni, in caso con l’intervento di soggetti pubblici ed eventualmente di provvedimenti normativi ad hoc; con la conseguenza che la decisione in commento   – pur condivisibile per la tutela di taluni diritti  – ha scarsa efficacia per garantire un rapido recupero di quella continuità aziendale,  che costituiva il  primario obiettivo delle iniziative avviate dalla  debitrice.

Vittorio Provera
Trifirò

 

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