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Medici e strutture sanitarie: elementi che qualificano il rapporto di lavoro come autonomo o subordinato

Medici e strutture sanitarie: quali sono gli elementi che permettono di qualificare un rapporto di lavoro come autonomo o subordinato? Lo ha chiarito il Tribunale di Milano in una recente ordinanza (18 dicembre 2018).

 

I fatti

La controversia di cui la Corte si è occupata riguardava la vicenda di un medico che, dopo una collaborazione trentennale con una struttura sanitaria, aveva ricevuto una comunicazione di recesso aziendale: egli, a questo punto, aveva rivendicato una presunta natura subordinata del rapporto con la struttura, chiedendo che il recesso fosse qualificato come licenziamento ed esigendo di essere reintegrato in servizio.

Il Tribunale di Milano non ha accolto la sua istanza, ritenendo invece genuina e reale la qualificazione autonoma e libero professionale del rapporto.

 

Definizione di lavoro subordinato

Prima di tutto occorre ricordare che nel diritto del lavoro l'articolo 2094 del Codice Civile definisce prestatore di lavoro subordinato chi "si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell'impresa, prestando il proprio lavoro, intellettuale o manuale, alle dipendenze e sotto la direzione dell'imprenditore". I caratteri essenziali del rapporto di lavoro subordinato sono rappresentati dalla collaborazione, dall'onerosità e, infine, dalla dipendenza e dalla direzione. Proprio questi ultimi due aspetti sono al centro delle motivazioni fornite dal Tribunale per rifiutare la richiesta del medico: vediamole nel dettaglio.

 

Le motivazioni dell’ordinanza

1. L’importanza delle direttive

Bisogna sottolineare come, in un’attività di natura intellettuale come quella del medico, il potere concreto del datore di lavoro è per forza di cose attenuato. Pur riconoscendo questo, occorre ricordare che l'articolo 2104 del Codice Civile afferma che il prestatore di lavoro deve "osservare le disposizioni per l'esecuzione e per la disciplina del lavoro impartite dall'imprenditore e dai collaboratori di questo dai quali gerarchicamente dipende". La Corte ha sottolineato che per qualificare il rapporto di lavoro come subordinato occorre che il datore di lavoro stesso dia al medico direttive, pur di carattere generale, riguardanti i contenuti della prestazione e anche le modalità organizzative della stessa, cioè la pianificazione di ferie, turni e assenze. Pianificazione che, da quanto emerge, non era stata mai effettuata.

 

2. Il potere gerarchico e disciplinare

Secondo punto: perché il rapporto possa essere riconosciuto come subordinato, deve sussistere un potere gerarchico e disciplinare del datore di lavoro, che si esplicita in ordini e richiami di varia natura. In oltre trent’anni di collaborazione, però, non risultava che il medico ne avesse mai ricevuti dai vertici della struttura.

 

3. La volontà espressa dalle parti

Terzo punto: il Tribunale ha sottolineato che, ai fini della qualificazione del rapporto, occorre considerare la volontà espressa dalle parti. Per quanto riguarda la vicenda oggetto di giudizio, è emerso che il medico aveva chiesto più volte di essere assunto dalla struttura, ma aveva poi ogni volta rifiutato le condizioni contrattuali che questa gli aveva proposto. Questo testimonia che il mantenimento del rapporto di natura autonoma corrispondeva ai suoi interessi e che pur avendone avuto la possibilità non aveva voluto trasformarlo in subordinato.

 

4. Gli obblighi di esclusiva

Un altro elemento chiave individuato dalla Corte riguarda l’assoluta assenza di obblighi di esclusiva. Il medico protagonista della vicenda, infatti, prestava la propria opera anche presso altre aziende sanitarie e, tra l’altro, ricavava da queste attività alternative la maggior parte del proprio fatturato.

 

5. La retribuzione

Infine, per la decisione della Corte è stato essenziale anche il fatto che il medico non potesse sostenere di incassare una “retribuzione”. Dalla struttura sanitaria convenuta in giudizio, infatti, egli riceveva un compenso variabile che era legato in percentuale agli importi dei pagamenti dei pazienti da lui curati. Questo testimonia come il professionista partecipasse al rischio di impresa e non potesse appunto affermare di essere titolare di una retribuzione in senso stretto.

 

Articolo di approfondimento: http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/dirittoLavoro/2019-01-15/elementi-rilevanti-fini-qualificazione-rapporto-lavoro-autonomo-o-subordinato-un-medico-e-struttura-sanitaria-100924.php

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