Con la recente sentenza n. 7167 del 13 marzo 2019 sul diritto del lavoro la Suprema Corte è intervenuta per chiarire una questione che aveva sollevato, anche alla luce di precedenti pronunce di legittimità, alcuni dubbi interpretativi e, segnatamente, le “tutele” applicabili, ai sensi dell’art. 18 Stat. Lav., in caso di manifesta insussistenza del fatto posto a fondamento del licenziamento per ragioni oggettive.
A tal riguardo, infatti, con sentenza n. 10435/2018 la Suprema Corte aveva rilevato (come in altre precedenti pronunce) che il licenziamento fondato su fatti manifestamente insussistenti “può” essere assoggettato, secondo quanto stabilito dall’art. 18 Stat. Lav., a sanzioni diverse: la reintegrazione nel posto di lavoro (comma 4) oppure il risarcimento del danno (comma 5).
In particolare, con la predetta pronuncia (che riguardava una fattispecie in cui era stata accertata la violazione dell’obbligo di repechage), la Suprema Corte aveva evidenziato che l’art. 18 Stat. Lav. non fornisce alcuna indicazione per stabilire in quali occasioni il giudice possa attenersi al regime sanzionatorio più severo ovvero a quello meno rigoroso: pertanto, la S.C. aveva concluso che “una eventuale accertata eccessiva onerosità di ripristinare il rapporto di lavoro può consentire, dunque, al giudice di optare – nonostante l’accertata manifesta insussistenza di uno dei due requisiti costitutivi del licenziamento (ndr: individuati nel fatto posto a base del licenziamento e nell’impossibilità di una differente ricollocazione all’interno dell’impresa) - per la tutela indennitaria”.
Con la sentenza in commento, la Suprema Corte ha precisato che l’indagine del giudice deve essere volta ad accertare “il fatto” posto a base del licenziamento in ciascuno degli elementi che concorrono a determinarlo, e precisamente: l’effettiva esistenza del processo di riorganizzazione o del riassetto produttivo; la sussistenza del nesso di causalità fra tale processo e la perdita del posto di lavoro; l’impossibilità della ricollocazione in altro posto di lavoro.
All’esito di tale indagine, il giudice dovrà effettuare “una penetrante analisi e valutazione di tutte le circostanze del caso concreto” per verificare se, nell’ambito del “fatto” sottoposto alla sua attenzione, sia ravvisabile l’ipotesi - da ritenersi comunque eccezionale - di “manifesta insussistenza”, consistente in un’evidente carenza dei presupposti giustificativi del licenziamento “che consenta di apprezzare la chiara pretestuosità del recesso” (cfr. Cass. n. 10435/2018, cit.).
Tanto premesso, la S.C. ha quindi affermato che l’espressione “può altresì applicare”, di cui all’art. 18, comma 7, Stat. Lav., non assegna al giudice alcun margine di discrezionalità “posto che, ove il fatto sia caratterizzato dalla “manifesta insussistenza”, è unica, e soltanto applicabile, la protezione del lavoratore rappresentata dalla disciplina di cui al comma 4”.