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T&P Magazine

Lo statuto dei lavoratori ieri e oggi

Di Salvatore Trifirò, Fondatore, Trifirò & Partners Avvocati


Nel 25esimo anno dell’istituzione dello Statuto dei Lavoratori ebbi l’onore di essere chiamato dal Primo Presidente della Cassazione per una relazione nell’Aula Magna della Suprema Corte a Sezioni Unite su come, sulla base della mia esperienza professionale, lo Statuto dei Lavoratori – nella interpretazione data dai Giudici del merito e da quelli di legittimità - avesse inciso nella vita e nel costume della Nazione e dell’Impresa: in quella comunità di lavoro, cioè, dove ciascheduno deve operare - nel rispetto di reciproci diritti e doveri – per produrre ricchezza per l’intera collettività.
E’ stata la mia, a quel tempo, una testimonianza – e tale vuole essere ancor oggi – di come la nostra professione di Avvocato abbia influito e influisca sulla creazione del Diritto Giurisprudenziale e come il Diritto Giurisprudenziale – Diritto Vivente - abbia costituito e costituisca lo strumento giuridico per eccellenza per la professione di Avvocato.


Oggi, come allora, sono onorato di celebrare il 50esimo dell’istituzione dello Statuto: questa volta insieme a valorosi Colleghi molti dei quali hanno percorso con me un tratto importante della loro vita professionale. Ciascuno di essi darà il proprio contributo su specifici temi, alcuni dei quali risalgono ai lontani anni “caldi” di applicazione dello Statuto, e restano ancora vivi ai nostri giorni sicchè l’Avvocato ha spazio e modo di poter ancora incidere. Io contribuirò, come già accennato, con una veloce carrellata che attraversa questi 50 anni di Statuto, ieri e oggi, dalla sua istituzione fino al Jobs Act ed oltre.


La mia esperienza professionale - che inizia negli anni ’50 al tempo degli Accordi interconfederali e prosegue negli anni ’60 al tempo della Legge 15 luglio 1966 n. 604 - parte qui con una testimonianza dagli anni ’70 con l’entrata in vigore dello Statuto dei Lavoratori. Quel nuovo Diritto del Lavoro che, sotto la spinta di una imponente produzione giurisprudenziale, innova profondamente i rapporti sindacali e di lavoro nell’Impresa. L’opera dell’Avvocato è stata fondamentale per la creazione di quel Diritto Vivente, nerbo essenziale nella disciplina del lavoro nell’Impresa. E’ infatti l’Avvocato, che sottopone il caso concreto come già da lui qualificato al vaglio del Magistrato e da questi giudicato nei vari gradi di giudizio sino al formarsi, con l’intervento del Supremo Collegio, della Massima di Diritto. Quella Massima di Diritto da cui l’Avvocato ripartirà per utilizzarla quale guida alle Direzioni del Personale per una corretta disciplina del lavoro nell’Impresa.

Il Diritto Vivente ha costituito in questi 50 anni (e costituirà negli anni a venire) capisaldi fondamentali in tema di licenziamenti individuali e collettivi, cassa integrazione, mobilità all’interno e all’esterno dell’Azienda, diritto di sciopero, clausole di correttezza e buona fede e così via, per pervenire, ai giorni d’oggi, allo smart-working, e creare le premesse per un nuovo Diritto del Lavoro laddove si affievolisce il concetto di subordinazione come tradizionalmente inteso e si creano le premesse per l’ingresso, a pieno titolo, di nuove forme e modalità di Lavoro avanzato e partecipativo nell’ambito delle Imprese.


Su tutti i temi, come sopra accennati in via esemplificativa, qui alcune concrete testimonianze ed esperienze.
Erano gli anni epici e travolgenti fra il 1970 e il 1980 caratterizzati da un clima sindacale incandescente con punte di estremismo terroristico. Si andava in udienza e si era in prima linea: davanti ai Pretori d’assalto e agli Avvocati di estrema sinistra di Soccorso Rosso, che a quei Pretori ricorrevano quotidianamente.


Fu lì che discussi il primo art. 28 della nostra storia. Il nuovo penetrante strumento giudiziario introdotto dallo Statuto che consentiva ai Sindacati di divenire parte attiva nei processi e concedeva ai Pretori amplissimi poteri, consentendo loro di incidere in funzione  “riequilibratrice” – così affermavano – delle ingiustizie subite dalla classe operaia.
Fu, tuttavia, un riequilibrio squilibrato: fino al punto di mettersi contro lo stesso Sindacato e a favore delle frange estreme.


Fu lì che discussi il primo art. 18 della storia dello Statuto: davanti a centinaia di operai vocianti con il pugno chiuso, per la prima volta un dipendente (della Sit-Siemens) venne reintegrato fisicamente, manu militari, sul posto di lavoro.
Una mattina, in concomitanza di un’udienza relativa al licenziamento di un brigatista, trovai la mia macchina ancora bruciante. Era stata data alle fiamme durante la notte insieme a quella del Direttore del Personale della Sit-Siemens. Furono questi i primi attentati delle BR nel nord Italia. Da lì in avanti fu un’escalation. Ogni mattina i giornali riportavano notizie agghiaccianti di agguati ed attentati. Vittime i responsabili delle Direzioni del Personale, giornalisti e persino sindacalisti.


L’uccisione del Commissario Calabresi avvenne la mattina in cui si dava esecuzione al Provvedimento di un Pretore d’assalto che aveva ordinato la riapertura di una fabbrica chiusa perché irrimediabilmente decotta. Le udienze si svolgevano - affollatissime di aderenti ai CUB (Comitati Unitari di Base) - in un clima di intimidazione nei confronti dei Legali c.d. “datoriali”. Trovandomi in un’udienza fisicamente con “le spalle al muro” dietro la stessa scrivania del Pretore che dirigeva l’udienza protestai con lo stesso.
Mi rispose che mi dovevo adattare ai nuovi tempi. I testimoni chiamati dalle Aziende non potevano presentarsi perchè “gambizzati” durante la notte. Capi del Personale pagarono con la vita il tentativo di arginare i vandalismi e i sabotaggi in fabbrica, rei di aver licenziato i responsabili.
Valorosi Magistrati, ancorchè progressisti, ma ritenuti non allineati, pagarono anch’essi con la vita il loro attaccamento al dovere. Io stesso scampai miracolosamente a due attentati dopo che Corso di Porta Vittoria, la via antistante il Palazzo di Giustizia di Milano, era stato tappezzato di manifesti nei quali venivo ritratto insieme ai Magistrati dell’allora Tribunale di Appello di Milano come l’Avvocato di punta della Confindustria.


Ricordo il caso estremo cui partecipai quale Avvocato della Società appellante, al Palazzo di Giustizia di Milano, riguardante il licenziamento di alcuni dipendenti di una Società della FIAT aderenti a frange estremiste che si erano assentati dal lavoro per partecipare ad una esercitazione a fuoco sulle colline di Verbania. In quell’occasione il Palazzo di Giustizia fu invaso da circa un migliaio di persone. La Polizia dovette intervenire in assetto antisommossa con il lancio di lacrimogeni nei corridoi del Palazzo. Un Avvocato di Soccorso Rosso si presentò in udienza sanguinante. Fu il finimondo. Le transenne nell’aula del Tribunale vennero travolte. L’udienza dovette essere interrotta ed io fui costretto a rinchiudermi con i Magistrati in Camera di Consiglio mentre tutt’intorno proseguiva la guerriglia.
Dopo qualche ora, quando la situazione si avviò verso la normalità, l’udienza potè proseguire e il Tribunale, riformando la sentenza di primo grado, confermò la legittimità dei licenziamenti.


Questo era il clima di quegli anni c.d. di piombo nei quali venivano tuttavia affermati fondamentali principi di diritto a seguito di azioni di accertamento da me promosse perché venisse dichiarata l’illegittimità dei picchettaggi violenti; l’illegittimità di assemblee sindacali che mascheravano vere e proprie occupazioni di Aziende; l’illegittimità degli scioperi a singhiozzo e/o a scacchiera sugli impianti a ciclo continuo, idonei a pregiudicarne il funzionamento. Veniva altresì affermato, sempre a seguito di azioni di accertamento, il principio di diritto che l’occupazione di un Azienda effettuata da una parte delle maestranze liberava il datore di lavoro dall’adempimento dell’obbligazione retributiva anche nei confronti dei dipendenti non occupanti. Ciò perchè la mancata prestazione lavorativa di questi’ultimi non era imputabile allo stesso Datore. Ed ancora, sempre con azioni giudiziali di accertamento, è stato arginato il fenomeno dell’assenteismo, giustificato da compiacenti certificati medici, con punte che toccavano il 30% nei giorni precedenti e successivi al week-end.


Veniva così affermato il principio di diritto che rendeva legittimi i licenziamenti per eccessiva morbilità per l’effetto disorganizzante prodotto dall’alternanza tra assenze e presenze. In forza di quelle azioni il fenomeno dell’assenteismo venne ricondotto, almeno nelle fabbriche del nord, in limiti fisiologici. Sempre in forza di azioni di accertamento venne riconosciuta la legittimità della disdetta dei contratti collettivi nazionali, nonché la prevalenza dei contratti aziendali modificativi anche in pejus dei contratti nazionali; venne contestata e riconosciuta la mancanza di rappresentanza sindacale ai CUB; vennero ideate e promosse azioni di accertamento circa l’intervenuta rinuncia ai diritti individuali per pervenire contestualmente a conciliazioni individuali inimpugnabili (da qui la genesi degli odierni procedimenti conciliativi deflattivi del contenzioso giudiziario); vennero promosse azioni di condanna delle Organizzazioni Sindacali per il mancato rispetto dei patti di tregua sindacale; contro le RSA aziendali e gli stessi singoli rappresentanti quali promotori e partecipanti ad anomale agitazioni sindacali; vennero ideate e costituite Imprese basate su rapporti di lavoro autonomo (quelle delle vendite porta a porta e quelle dei moto taxi.. i progenitori degli odierni Riders).


Altre testimonianze potrebbero aggiungersi a quelle sopra riportate ma ho già abusato della pazienza del Lettore. Ci sarà spazio tempo e luogo per ricordare altri importanti snodi di questo percorso che sembra di ieri ma in realtà è lungo quasi una vita.
Ora si gira pagina. Incomincia una nuova storia. Quella del tempo di Covid19 con il conseguente reset di comportamenti e schemi organizzativi di ieri, che tuttavia è già il passato. Si aprono nuovi scenari per le Imprese che, nel futuro, saranno sempre più virtuali. Dobbiamo ideare e realizzare una nuova disciplina del rapporto di lavoro, adeguato da un lato, alle necessità della singola Impresa e, dall’altro, a quelle del prestatore di lavoro. Rapporto, che superata l’attuale rigidità della subordinazione, possa essere più flessibile e profittevole per entrambe le parti. Laddove il risultato e il merito saranno la misura di quella giusta retribuzione sancita dall’articolo 36 della nostra Costituzione che, per il suo contenuto universale, sarà sempre operante. Laddove il capitale umano, che resta fra i beni fondamentali per l’esercizio dell’Impresa, possa avere la sua giusta valorizzazione; possa godere di strumenti partecipativi; possa essere «collaborato», ma non sostituito dall’intelligenza artificiale e trovare, in appropriati specifici contratti, la sua disciplina: tenendo ben presente, come accennavo all’inizio, che causa (ovvero scopo) di quei contratti dovrà essere l’interesse dell’Impresa nel quale confluiscono e si fondono quello del Datore e quello del Prestatore al fine di produrre ricchezza per l’intera collettività.


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