A cura di Francesco Torniamenti
Come noto, il datore di lavoro può legittimamente licenziare il lavoratore che si assenti per un periodo superiore a quello massimo previsto dal contratto collettivo (c.d. periodo di comporto) salvo che le assenze del dipendente non siano imputabili al datore e sempre che il licenziamento non sia discriminatorio. Con riferimento a tale ipotesi, la discriminatorietà del licenziamento può essere diretta o indiretta. Rientrano nella prima tipologia le ipotesi in cui il reale motivo del licenziamento non sia quello formalmente indicato dal datore ma sia riconducibile alle caratteristiche personali del lavoratore quali l’età, il sesso, la razza, l'origine etnica, la religione, le convinzioni personali, la disabilità ecc. Viceversa, la discriminazione indiretta sussiste quando una “disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altri, persone di una determinata razza od origine etnica” (cfr. Direttiva n. 2000/43/CE) o “persone (…) portatrici di handicap” (cfr. Direttiva 2000/78/CE).
La Corte di Appello di Milano (sentenza n. 1128/22, pubblicata in data 9 dicembre 2022), applicando i suddetti principi Comunitari ha ritenuto nullo per discriminazione indiretta un licenziamento per superamento del periodo di comporto irrogato ad un lavoratore in quanto lo stesso sia era assentato oltre il limite del comporto a causa di una patologia (artrosi dell’anca) che la Corte aveva ritenuto ricondurre nello stato di “handicap” come definito dalla Corte Giustizia Europea (ovvero una “limitazione di capacità risultante da durature menomazioni fisiche mentali o psichiche che (…) possa ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale” cfr. Corte Giustizia Europea, 11 aprile 2013, C-335).
Secondo la Corte, infatti, essendo il lavoratore da considerarsi affetto da handicap, la norma contrattuale applicabile (art. 51 del CCNL Multiservizi) doveva prevedere un “contemperamento perequativo” ossia contemplare una disciplina particolare e di maggior tutela per i lavoratori disabili. Invece, essendo previsto dal CCNL un periodo di comporto uguale, sia per i lavoratori disabili che per quelli non disabili, la norma contrattuale aveva “indirettamente discriminato” i dipendenti affetti da handicap e, pertanto, il licenziamento era nullo, con diritto conseguenziale del lavoratore alla reintegra nel posto di lavoro.
Tale statuizione costituisce, a pare di chi scrive, un’interpretazione eccessivamente estensiva dei principi espressi dalla suddetta Direttiva Europea e, comunque, si pone in controtendenza con quanto affermato dalla recente giurisprudenza. Infatti:
- la Cassazione (in un caso analogo seguito dal nostro Studio), ha escluso - ai fini dell’applicazione della Direttiva 2000/78/CE - che la malattia invalidante (in quel caso una patologia oncologica) integri stato di handicap. ( 28 ottobre 2021, n. 30478). Lo stato di handicap è, viceversa, riscontrabile ove vi sia un’invalidità permanente certificata dall’INPS. Di talché, ove l’assenza del lavoratore sia imputabile ad una malattia (ovvero una patologia temporanea), dovrà essere esclusa la sussistenza di uno “stato di handicap” e sarà quindi inapplicabile l’istituto della discriminazione indiretta espresso dalla Direttiva 2000/78/CE;
- anche nel caso in cu il lavoratore sia effettivamente affetto da handicap, affinché si ravvisi la discriminazione indiretta, è altresì necessario che il CCNL preveda, per i lavoratori disabili che si assentino a causa della loro invalidità, un trattamento di minor favore rispetto a quello applicato ai colleghi non disabili (ad esempio prevedendo un periodo di comporto inferiore, cfr. Trib. Lodi 12 settembre 2022, n. 19). Non costituisce quindi “discriminazione indiretta” il fatto che il CCNL stabilisca lo stesso periodo di comporto per la generalità dei lavoratori (sia disabili che non);
- il lavoratore assente per patologie invalidanti ha l’obbligo di comunicarlo al datore di lavoro barrando le apposite caselle apposte sul certificato medico telematico; in caso contrario, l’eventuale obbligo del datore di lavoro di espungere dal comporto le giornate di assenza correlate all'invalidità diventa inesigibile (Trib. Vicenza, 27 aprile 2022, n. 181).
In definitiva, secondo la giurisprudenza prevalente - e a differenza di quanto affermato dalla Corte d’Appello di Milano con la suddetta pronuncia n. 1128/22 - perché il licenziamento per superamento del comporto sia nullo per “discriminazione indiretta” è necessario sia la sussistenza dello stato di handicap (che deve essere la causa dell’assenza) sia l’esistenza di una norma contrattuale che tratti in modo sfavorevole il lavoratore disabile rispetto ai colleghi non affetti da disabilità.
È, infine, essenziale che il lavoratore, nel rispetto degli obblighi di correttezza e buona fede, abbia preventivamente comunicato al datore di lavoro che le assenze erano causate da una patologia invalidante.