Licenziamento per giusta causa: dolo del lavoratore e prova presuntiva
A cura di Marina Olgiati e Francesco Torniamenti
Tribunale di Treviso, 13 aprile 2017, ord.
L’intenzionalità della condotta del lavoratore licenziato per giusta causa può presumersi dalla documentazione prodotta in giudizio dal datore di lavoro; in tale ipotesi, sarà il lavoratore a dovere provare di avere effettivamente agito senza dolo.
Il principio si ricava da una recente decisione del Tribunale di Treviso, che ha giudicato un caso in cui una dipendente – che svolgeva mansioni di venditore esterno ed era munita di auto aziendale - aveva impugnato il suo licenziamento, intimato dopo che le era stato contestato di avere chiesto e conseguito un indebito rimborso spese per carburante. La lavoratrice, infatti, aveva domandato e ottenuto tale rimborso, nonostante non ne avesse diritto, in quanto aveva già saldato il carburante, utilizzando una carta prepagata fornita dall’azienda.
La dipendente aveva sostenuto di avere chiesto la restituzione delle spese per errore. A suo dire, la carta prepagata le era stata consegnata solo pochi mesi prima, senza avere avuto dall’azienda adeguate spiegazioni in merito alle modalità di compilazione della nota spese nel caso di utilizzo della detta carta. Pertanto, nell’esposizione dei rimborsi, effettuata mediante l’utilizzo di un apposito applicativo informatico aziendale, era incorsa in una “svista” allorquando aveva “cliccato” l’opzione “carburante” (da selezionare per il caso in cui il costo del carburante fosse effettivamente da rimborsare), anziché il tasto “carta prepagata” (da scegliere, invece, per segnalare all’azienda che il costo era già stato corrisposto con la carta aziendale). Il carattere puramente colposo della violazione evidenziava, quindi, l’insussistenza della giusta causa e, in ogni caso, la sproporzione della sanzione del licenziamento.
La società datrice ha prodotto in giudizio sia le richieste di rimborso degli ultimi mesi presentate dalla lavoratrice – da cui si evinceva che quest’ultima aveva, in più occasioni, chiesto il rimborso per le spese già sostenute con la carta carburante aziendale – sia gli screenshot delle schermate della procedura informatica aziendale utilizzata per la compilazione delle note di rimborso spese, da cui emergeva in modo chiaro che, laddove venivano inseriti gli importi relativi alle spese di carburante, compariva sempre la scritta “da rimborsare”.
Il Giudice, sulla scorta di tali evidenze documentali, ha ritenuto non verosimile la tesi dell’errore addotta dalla lavoratrice: infatti, “la scritta «da rimborsare» è di evidente e semplice significato ed essa è, anche intuitivamente, incompatibile con una spesa invece effettuata con provvista già fornita dal datore di lavoro, come quelle effettuate con carte prepagate”. In altri termini, la dipendente non poteva non avvedersi di stare chiedendo ingiustificatamente il rimborso di una spesa in realtà già pagata dall’azienda, mediante la carta prepagata. Ancora, la teoria dell’errore non era credibile, anche considerato che le domande di rimborso erano state molteplici: la reiterazione della richiesta di rimborso e le modalità di funzionamento della procedura informatica prevista per i rimborsi spese rendevano perciò plausibile la tesi della volontarietà del fatto.
Il Tribunale ha, comunque, consentito alla lavoratrice la prova del preteso errore, attraverso l’assunzione di testimoni, che, peraltro, hanno smentito la sua tesi difensiva. Conseguentemente, ha confermato la legittimità del licenziamento, perché il fatto commesso, in quanto intenzionale, costituisce appropriazione di denaro dell’azienda, attuata con mezzi artificiosi.