(Corte di Cassazione, sentenza 26 marzo 2019 n. 8389)
Causa seguita da Giampaolo Tagliagambe e Tommaso Targa
Con la sentenza in commento, la Suprema Corte ha affrontato nuovamente il tema dell’esercizio del diritto di difesa nell’ambito del procedimento disciplinare prodromico al licenziamento per giusta causa.
Nel caso di specie, il licenziamento era stato intimato a un dirigente che, nei gradi di merito, ha rivendicato il pagamento dell’indennità sostitutiva del preavviso e dell’indennità supplementare prevista dal C.C.N.L. di categoria.
La Corte d’Appello ha accertato l’illegittimità e ingiustificatezza del licenziamento tenuto conto, preliminarmente, della violazione del diritto di difesa lamentato dal dirigente. Infatti, nell’ambito del procedimento disciplinare, il dirigente era caduto in malattia e l’azienda lo aveva licenziato senza consentirgli di rendere le proprie giustificazioni oralmente, sebbene il dirigente avesse chiesto di essere convocato a tal fine: con ciò ignorando la temporanea impossibilità di esercitare il diritto di difesa in ragione dello stato di malattia.
Pronunciandosi su un motivo di ricorso dell’azienda, la Cassazione ha escluso che possa ritenersi gravante sul dirigente - ma si tratta di un principio applicabile a qualsiasi lavoratore - l’onere della prova che, a fronte della malattia, quest’ultimo non fosse in condizioni di rendere tempestivamente le proprie giustificazioni. Al contrario, la Corte ha richiamato il proprio orientamento secondo cui non esiste un onere della prova, a carico del dipendente, della sussistenza di una specifica incapacità ad esercitare compiutamente e tempestivamente il proprio diritto di difesa. Nel caso in cui il dipendente, raggiunto da una contestazione disciplinare, chieda tempestivamente il differimento dell’audizione, attestando un impedimento per motivi di salute suffragato da idonea certificazione medica, il datore di lavoro non può ritenersi autorizzato ad omettere la convocazione dovendo, al contrario, consentirla alla cessazione dello stato di malattia del lavoratore.
Riassumendo. Da un lato, il dipendente - se lo richiede - ha diritto di rendere o integrare oralmente le proprie giustificazioni nell’ambito del procedimento disciplinare. Dall’altro lato, tale diritto non può essere negato se il dipendente dimostra, con adeguata documentazione medica, di trovarsi nella temporanea impossibilità di esercitarlo per ragioni di salute e, a fronte di ciò, chiede un differimento dell’audizione orale.
Il principio affermato dalla Cassazione, pur essendo in linea di principio “penalizzante” per la posizione delle aziende, tuttavia sembra lasciare spazio per possibili eccezioni nell’ambito di giudizi relativi all’impugnazione di un licenziamento. Infatti, da tale principio si può evincere che la sospensione del procedimento disciplinare richiede perlomeno una espressa richiesta del lavoratore, adeguatamente motivata e documentata da certificazione medica. Di riflesso, se è vero che l’azienda non può negare l’audizione orale del dipendente, né il rinvio di tale audizione per ragioni di salute, è altrettanto vero che l’azienda non è obbligata a disporre “d’ufficio” il suddetto rinvio: occorre pur sempre una richiesta del dipendente, che deve presentarla entro il termine per esercitare il diritto di difesa e giustificarla in ragione dello stato di malattia. Se non fa questa richiesta nei termini, il dipendente non potrà successivamente lamentare la pretesa violazione del diritto di difesa nel giudizio di impugnazione del licenziamento.
La sentenza in commento coglie l’occasione per affrontare altresì due aspetti ulteriori, relativi alla quantificazione delle somme dovute in seguito al licenziamento del dirigente.
In merito al calcolo dell’indennità sostitutiva del preavviso, la sentenza ha ritenuto che il suddetto importo non dovrebbe rientrare nella base di calcolo del TFR “per la sua riferibilità ad un periodo non lavorato e per effetto della natura obbligatoria del preavviso”. Dunque, la sentenza ha ritenuto che l’indennità sostitutiva del preavviso non costituisce retribuzione in senso stretto, avendo invece natura sostanzialmente risarcitoria (risarcimento di danno da lucro cessante).
Ulteriore aspetto toccato dalla sentenza riguarda l’onere probatorio in materia di mancata corresponsione di bonus e retribuzione variabile. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che il dirigente non avesse diritto al pagamento del bonus, non avendo assolto all’onere su di lui gravante “di provare, sia pure in modo presuntivo, i presupposti per il raggiungimento del risultato sperato”.
La Corte ha quindi ritenuto che, al fine di ottenere il pagamento della retribuzione variabile, il dirigente deve dimostrare i presupposti, di fatto e diritto, della insorgenza del preteso credito e, quindi, i criteri analitici di maturazione del bonus. Se il dirigente non assolve tale onere, la sua domanda può essere rigettata senza che sia necessario l’assolvimento, da parte dell’azienda, della prova contraria del mancato raggiungimento degli obiettivi.