di Giuseppe Sacco
Il Tribunale di Como, pronunciandosi in tema di licenziamento per assenza ingiustificata, ha sciolto un contrasto giurisprudenziale sorto sulla possibilità, per il datore di lavoro, di procedere con il licenziamento disciplinare nell’ipotesi in cui il lavoratore a cui siano contestate solo alcune giornate di assenza, continui ad assentarsi anche dopo l’avvenuto invio della lettera di contestazione disciplinare così superando complessivamente il numero massimo di giornate di assenza ingiustificata previste dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto.
Su tale questione, la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16132 pubblicata in data 20 luglio 2007, premesso che in materia di provvedimenti disciplinari a carico del lavoratore, l'art. 7 l. n. 300 del 1970 stabilisce che nessuno di tali provvedimenti possa essere assunto senza previa contestazione dell'addebito, aveva affermato che, in caso di licenziamento disciplinare intimato per assenza ingiustificata dal lavoro che superi il numero di giorni di assenza previsto dal c.c.n.l. (tre nel caso di specie), il datore di lavoro ha l'onere di indicare specificamente nell'atto di contestazione tutti i giorni di assenza, non potendo essere computate, qualora la contestazione sia relativa ad un solo giorno, le ulteriori assenze intercorse tra la data di invio e quella di ricezione della contestazione medesima.
A tale pronuncia aveva fatto seguito, sulla medesima questione, una successiva sentenza della Suprema Corte di segno opposto.
Con la sentenza n. 22127 pubblicata in data 2 novembre 2016, infatti, la Cassazione ha affermato la legittimità del licenziamento disciplinare a carico del lavoratore a cui era stata contestata l’assenza ingiustificata per due giornate, protrattasi per ulteriori giornate dopo l’invio della contestazione disciplinare così da superare il limite massimo di giornate di assenza consentite dal c.c.n.l.
La Cassazione ha motivato tale conclusione argomentando che la violazione del principio di immutabilità della contestazione non può essere sempre ravvisata ogni qual volta i fatti posti alla base della iniziale contestazione e quelli che sorreggono il provvedimento disciplinare siano divergenti ma solo nell’ipotesi in cui tale divergenza sia anche idonea a compromettere il diritto di difesa del lavoratore nel corso del procedimento disciplinare.
Di conseguenza, secondo la Suprema Corte, il licenziamento sarebbe illegittimo nella sola ipotesi in cui vi sia una sostanziale immutazione del fatto addebitato che si realizza quando il quadro di riferimento è talmente diverso da quello posto a fondamento della sanzione da menomare concretamente il diritto di difesa.
Il Tribunale di Como, con la sentenza in commento (Trib. Como, Sez. Lavoro, G.U. Dott.ssa Barbara Cao n. 272 del 14 novembre 2017) ha definitivamente composto il suddetto, apparente, conflitto giurisprudenziale nei termini di seguito esposti.
Nel caso esaminato dalla Cassazione nel 2016, infatti, il lavoratore aveva esaurito il proprio diritto di difesa posto che lo stesso si era giustificato non solo sulle giornate specificamente indicate nella lettera di contestazione disciplinare ma anche su tutte le successive giornate di assenza che, ancorché non contestate, erano state poste alla base del provvedimento disciplinare espulsivo.
Diversamente, nel caso posto al vaglio della Cassazione nel 2007 (così come, del resto, in quello esaminato dal Tribunale di Como), il lavoratore, in sede di giustificazioni, aveva preso posizione sulle sole giornate oggetto di contestazione senza nulla dedurre con riferimento alle giornate successive di assenza che, tuttavia, erano state considerate dal datore di lavoro ai fini del licenziamento disciplinare.
Nell’analizzare il sopra menzionato precedente di legittimità del 2016, inoltre, il Tribunale ha anche precisato che la condotta del datore di lavoro che procede al licenziamento per un numero di giornate superiore rispetto a quelle precedentemente indicate nella contestazione realizza quella sostanziale immutazione dell’addebito suscettibile di inficiare il provvedimento espulsivo, soprattutto nell’ipotesi in cui il numero di giornate di assenza originariamente contestate non è sufficiente, di per sé, a giustificare il licenziamento ai sensi del c.c.n.l.
In conclusione, il Tribunale di Como ha dichiarato illegittimo il licenziamento con conseguente condanna del datore di lavoro alla reintegrazione in servizio del lavoratore.