Licenziamento e decadenza: la mancata risposta dell’azienda al tentativo di conciliazione del lavoratore, entro 20 giorni, equivale a rifiuto. Da tale momento decorre il termine di decadenza di 60 giorni per il deposito del ricorso.
(Tribunale di Torino, Ordinanza n. 18525/2017 del 10 ottobre 2017)
Causa seguita da Damiana Lesce e Ilaria Pitingolo
Ai sensi dell’art 6 L. 604/1966 (come novellato dall’art 32 L. 183/2010), il licenziamento deve essere impugnato “a pena di decadenza” entro 60 giorni dalla comunicazione del recesso o dei motivi se non contestuali; l'impugnazione è inefficace se, nel successivo termine di 180 giorni, non segue il deposito del ricorso in cancelleria o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione o arbitrato. “Qualora la conciliazione o l'arbitrato richiesti siano rifiutati o non sia raggiunto l'accordo necessario al relativo espletamento, il ricorso al giudice deve essere depositato a pena di decadenza entro sessanta giorni dal rifiuto o dal mancato accordo”.
Nel caso in esame:
- con un’unica comunicazione il lavoratore aveva impugnato stragiudizialmente nei 60 giorni il licenziamento e (contestualmente) promosso il tentativo di conciliazione di cui alla predetta norma;
- la Società non aveva dato alcun seguito alla predetta comunicazione. In altri termini, non aveva né accettato né rifiutato la richiesta di conciliazione;
- il ricorso veniva depositato presso la Cancelleria del Tribunale competente oltre l’80° giorno dal ricevimento, da parte della Società, della predetta comunicazione.
Nel costituirsi in giudizio la Società eccepiva l’inammissibilità del ricorso per intervenuta decadenza di parte ricorrente dall’impugnazione del licenziamento a causa del mancato rispetto del termine decadenziale dei “sessanta giorni” previsto dalla seconda parte dell’art. 6 L. 604 del 1966 e, in particolare, per non avere il lavoratore depositato il ricorso presso la Cancelleria del Tribunale nei 60 giorni successivi al 20° giorno dal ricevimento, da parte della Società, del tentativo di conciliazione.
Il Tribunale di Torino ha accolto l’eccezione di decadenza, respingendo il ricorso.
La disposizione di cui all’art 6 L. 604/1966 deve essere integrata con quanto previsto dall’art. 410, comma 7, c.p.c. che disciplina le modalità con cui la controparte deve intervenire nella procedura di conciliazione.
In particolare, il comma 7 dispone che, se il datore di lavoro accetta la scelta del lavoratore di attivare il tentativo di conciliazione, deve depositare presso la Commissione di conciliazione, entro 20 giorni dal ricevimento dalla richiesta, una memoria contenente le difese e le eccezioni in fatto e diritto nonché le eventuali domande in via riconvenzionale.
Se, invece, il datore di lavoro non provvede al deposito della memoria (nel predetto termine di 20 giorni) si concretizza di fatto l’ipotesi del “rifiuto” di cui all’art 6 L. 604/1966 e, in tal caso, comincia a decorrere il termine di 60 giorni per l’impugnazione giudiziale del licenziamento.
Accogliendo le argomentazioni difensive della Società, così sul punto il Tribunale di Torino: “La tesi riposa sull’assunto – accolto anche dalla più recente giurisprudenza di merito (Trib. Milano n. 3721/2015) – secondo cui la mancata risposta alla richiesta di conciliazione entro il termine di 20 giorni (come prescritto dall’art 410 comma 5 c.p.c) equivale a rifiuto, per cui da tale momento decorre il termine di 60 giorni per il deposito del ricorso ed è, ad avviso di questo giudice pienamente condivisibile. Invero, diversamente opinando si genererebbe il paradosso di ritenere che: laddove il datore di lavoro comunichi espressamente al lavoratore di non aderire alla richiesta di conciliazione nei termini stabiliti dall’art 410 comma 5 c.p.c, quest’ultimo dovrebbe ricorrere all’autorità giudiziaria entro 60 giorni dalla ricezione del rifiuto (secondo quanto previsto dall’art 6 comma 2, ult. periodo, L. 604/1966) e laddove tale comunicazione espressa manchi o non avvenga nel termine previsto dalla legge, il lavoratore potrebbe impugnare giudizialmente il licenziamento sine die. È evidente che una simile soluzione non può essere condivisa”.