A cura di Enrico Vella – Studio Trifirò & Partners Avvocati
Con ordinanza n. 17287/22, depositata il 27 maggio 2022, la Corte di Cassazione, occupandosi dell’illecito utilizzo di permessi sindacali giornalieri da parte di un RLS, ha avuto modo di ribadire la rilevanza del report investigativo ai fini dell’assolvimento dell’onere della prova della legittimità del licenziamento.
Ancora una volta il caso è emblematico: un lavoratore, rappresentante per la sicurezza dei lavoratori, veniva licenziato in quanto durante i permessi sindacali giornalieri anziché occuparsi di svolgere attività afferente al suo incarico, svolgeva attività a fini privati.
Il datore di lavoro, da un punto di vista probatorio, aveva fondato il licenziamento su prove raccolte da un investigatore privato; dal report elaborato, come anche confermato in sede di prova orale, infatti, risultava dimostrato che il lavoratore, per la maggior parte del periodo in cui aveva usufruito dei permessi connessi all’incarico di rappresentante per la sicurezza, aveva svolto attività in gran parte incompatibili con detto incarico.
Dalle indagini svolte, infatti, risultava che il lavoratore era stato visto ripetutamente recarsi al bar, effettuare lunghe passeggiate sul lungomare, entrare in esercizi commerciali ed occuparsi di incombenze familiari.
Il lavoratore, soccombente nei primi gradi giudizio, sosteneva che il licenziamento disciplinare irrogato doveva ritenersi illegittimo in quanto il report investigativo non poteva, nella sostanza, costituire mezzo di prova.
Ancora una volta, dunque, anche in tema di permessi sindacali, la Suprema Corte ribadisce che, in tema di licenziamento, l’onere probatorio gravante sul datore di lavoro può essere assolto tramite materiale acquisito da un detective privato. Il lavoratore, per parte sua, deve dimostrare se ed in che modo abbia utilizzato i permessi sindacali per svolgere attività afferente al proprio incarico.
Quello del controllo dei lavoratori tramite agenzia investigativa è un tema sempre di grande attualità.
La giurisprudenza, di merito e di legittimità, è giunta a considerare legittimo il controllo “occulto” attraverso investigatori privati, nei casi in cui lo stesso abbia natura difensiva, cioè finalizzato a tutelare l’azienda da comportamenti illeciti del dipendente.
Il diritto del lavoratore alla riservatezza, infatti, può trovare legittima compressione laddove sia necessario per tutelare il contrapposto diritto del datore di lavoro alla salvaguardia dei propri interessi patrimoniali; ciò, tuttavia, sempre a condizione che la restrizione alla privacy sia realizzata con modalità proporzionate e ragionevoli.
Pertanto, il controllo occulto mediante agenzia investigativa è pienamente legittimo se finalizzato a verificare, non il regolare svolgimento dell’attività lavorativa, bensì la realizzazione di comportamenti illeciti sul piano civile, penale o amministrativo da parte del lavoratore.
Le prove così raccolte possono essere utilizzate nel processo e, se dimostrano l’effettiva commissione dell’illecito, giustificano il licenziamento del dipendente infedele.
Gli accertamenti effettuati al di fuori dell’orario lavorativo ed in una fase di sospensione dell’obbligazione di rendere la prestazione, esulano infatti dai limiti imposti dallo Statuto dei Lavoratori, che invece riserva quest’ultimo tipo di controllo proprio al datore di lavoro ed alla propria organizzazione gerarchica, non consentendo che venga invece affidato a soggetti terzi alla struttura aziendale.