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T&P Magazine

Legittimo licenziare il sindacalista in permesso sindacale che invece va al mare

di Luca D'Arco

Causa seguita da Luca D’Arco e Marina Tona

Il Tribunale del Lavoro di Brindisi (in qualità di giudice dell’opposizione di un giudizio Fornero), con la sentenza n. 1565/2022 pubblicata in data 11/10/2022, ha deciso una interessante ipotesi di licenziamento per abuso del diritto alla fruizione di permessi da parte del lavoratore che rivestiva la carica di rappresentante sindacale.

La vicenda in sintesi: una società riceveva segnalazione informale del fatto che le richieste di fruire di permessi sindacali da parte di un rappresentante sindacale riflettessero, invece, esclusivamente esigenze personali di quest’ultimo volte a sottrarsi in tutto o in parte all’obbligo lavorativo, prolungando spesso i periodi previsti come di riposo o ferie, con conseguente disservizio all’organizzazione aziendale.

La società provvedeva a verificare l’attendibilità della segnalazione per accertare - attraverso investigatori privati – se le successive assenze del lavoratore, motivate con la pretesa fruizione di permessi sindacali fossero effettivamente riconducibili ai presupposti alla base del permesso richiesto. All’esito delle indagini investigative emergeva che il lavoratore - in ben 5 episodi nell’arco di 2 mesi - aveva utilizzato i permessi sindacali per finalità diverse da quelle per i quali erano stati riconosciuti ed in particolare per anticipare la fine del proprio turno di lavoro e recarsi al mare presso uno stabilimento balneare ed ivi trattenersi il pomeriggio, dopo essere passato alla propria abitazione per prendere e portare con sé il proprio figlio presso lo stabilimento balneare.

La società ricevuta la relazione investigativa provvedeva ad una dettagliata contestazione disciplinare ed al termine dell’iter disciplinare licenziava il rappresentante sindacale per giusta causa. Il lavoratore impugnava il licenziamento e poi agiva giudizialmente chiedendo la reintegrazione nel posto di lavoro. Il giudice del Lavoro di Brindisi all’esito procedimento e dell’istruttoria svolta ha ritenuto legittimo sotto ogni profilo formale e sostanziale il recesso per giusta causa. La sentenza si segnala per aver confermato una serie di principi importanti: Innanzitutto, laddove il comportamento del lavoratore consista in una serie di atti convergenti in un’unica condotta ed implichi, pertanto, una valutazione globale ed unitaria – come nel caso dei cinque episodi contestati al sindacalista - la contestazione disciplinare può seguire ad un intervallo di tempo necessario per l’accertamento e la valutazione dei fatti; in tal caso, il procedimento disciplinare è considerato tempestivo laddove venga instaurato dopo l’ultimo dei fatti avvenuti, anche ad una certa distanza temporale da quelli precedenti. Inoltre, è stata ribadita l’ammissibilità del controllo in relazione all’uso del permesso sindacale da parte del sindacalista.

Difatti, richiamando decisioni della Suprema Corte di Cassazione, è stato ritenuto che poiché i permessi sindacali di cui all'art. 30 legge 300 del 1970 costituiscono oggetto di un diritto potestativo del dirigente sindacale, dal cui esercizio discende una situazione di soggezione assoluta del datore di lavoro, non essendo previsto il suo consenso per produrre l’effetto giuridico di esonero della prestazione lavorativa, allo stesso datore di lavoro spetta il diritto al controllo per accertare la effettiva partecipazione dei sindacalisti, fruitori di tali permessi, alle riunioni degli organi direttivi nazionali o provinciali, o comunque per verificare l’indebita utilizzazione del permesso per fini personali o diversi da quelli per i quali è previsto.

Il Tribunale di Brindisi ha poi preso specifica posizione sulle investigazioni private disposte dal datore di lavoro, confermando l’ammissibilità e legittimità del ricorso a tali verifiche purché non sconfinino nella vigilanza dell’attività lavorativa vera e propria. In particolare, è stato ritenuto giustificato l’utilizzo di agenzie investigative, non solo nel caso di avvenuta perpetrazione di illeciti o per l’esigenza di verificare il contenuto dell’illecito, ma anche in ragione del mero sospetto che gli illeciti siano in corso di esecuzione. Infine, il Tribunale verificata la sussistenza dei fatti ascritti al lavoratore anche all’esito dell’istruttoria svolta, ha valutato la gravità delle condotte contestate sotto l’aspetto soggettivo, attribuendo particolare rilevanza alla qualifica del loro autore, investito della funzione di delegato sindacale aziendale e quindi di un ruolo significativo in ambito aziendale, conferitogli a tutela di interessi comuni.

In particolare l’intensità dell’elemento psicologico di colui che utilizza lo strumento del permesso sindacale per finalità completamente diverse da quelle consentite rende particolarmente grave la violazione dei richiamati doveri di correttezza, lealtà e buona fede posta in essere dal sindacalista e determina inesorabilmente una radicale rottura del vincolo fiduciario che connota il rapporto di lavoro subordinato, rendendo del tutto giustificata e congrua la sanzione espulsiva adottata dalla società, ciò a maggior ragione considerata anche la posizione di mera soggezione del datore di lavoro di fronte alla richiesta di permessi sindacali.

La decisione in commento si inserisce quindi in quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui il reiterato ed oggettivo abuso del diritto (e di un permesso spettante per legge) assume i connotati di un disvalore dotato di particolare gravità, tale da legittimare il licenziamento per giusta causa.

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