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La sentenza CGUE del 17 marzo 2021 sul Jobs Act

di Tommaso Targa e Noemi Spoleti

Con la sentenza del 17 marzo 2021, emessa nella causa C-652/19, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è espressa sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale del lavoro di Milano ai sensi dell’art. 267 TFUE, con ordinanza del 5 agosto 2019.

Nella specie, il giudizio a quo aveva ad oggetto il caso di una lavoratrice che, essendo stata assunta con contratto a tempo determinato precedentemente all’entrata in vigore del Jobs Act ed infine stabilizzata a tempo indeterminato solo il 31 marzo 2015, aveva diritto a fruire della sola tutela c.d. indennitaria di cui all’art. 3, comma 1, del D.lgs. n. 23/2015 (c.d. Jobs Act), nonostante il licenziamento collettivo in cui era stata coinvolta insieme ad altri colleghi – invece reintegrati, in quanto tutti assunti a tempo indeterminato prima del 7 marzo 2015 – fosse stato dichiarato illegittimo per violazione dei criteri di scelta.  

Nell’ambito dell’opposizione proposta dalla lavoratrice avverso quest’ultima decisione, il Tribunale del Lavoro di Milano, in veste di giudice del rinvio, ha sollevato, per l’appunto, due questioni pregiudiziali all’attenzione della Corte di Giustizia UE.

Con la prima questione, il giudice del rinvio ha chiesto, in sostanza, se la clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale debba essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale che estende il nuovo regime di tutela dei lavoratori a tempo indeterminato per il caso di licenziamento collettivo illegittimo ai lavoratori il cui contratto a tempo determinato, stipulato prima della data di entrata in vigore di tale normativa, è convertito in contratto a tempo indeterminato solo dopo tale data; con la seconda questione, invece,  il giudice del rinvio ha chiesto se la direttiva 98/59 e gli articoli 20 e 30 della Carta debbano essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale che prevede l’applicazione concorrente, nell’ambito di una stessa e unica procedura di licenziamento collettivo, di due diversi regimi di tutela dei lavoratori a tempo indeterminato in caso di licenziamento collettivo intimato in violazione dei criteri di scelta.

La Corte, in relazione alla seconda questione, che ha scelto di analizzare per prima, afferma che il diritto dell’Unione – nella specie, la direttiva 98/59 – si limita a disciplinare le procedura posta a protezione dei lavoratori nel corso del licenziamento collettivo, senza nulla statuire in ordine alle conseguenze della violazione dei criteri di scelta nel caso di licenziamento collettivo; pertanto, resta escluso che la questione possa essere esaminata alla luce dei principi della Carta sociale europea, i quali non possono essere invocati là dove l’Unione non sia competente ratione materiae.

Per ciò che riguarda la prima questione, la Corte esclude che l’estensione delle tutele deteriori di cui al c.d. Jobs Act – previste per i nuovi assunti a tempo indeterminato a far data dal 7 marzo 2015 – anche ai lavoratori assunti a tempo parziale prima del 7 marzo 2015 e stabilizzati a tempo indeterminato in seguito all’entrata in vigore del Jobs Act possa tradursi nella violazione del principio di non discriminazione, poiché la lamentata differenza di trattamento trova la propria giustificazione nelle “ragioni oggettive” di cui alla clausola 4, comma 1 del citato accordo quadro europeo; nondimeno, secondo costante giurisprudenza comunitaria dette ragioni oggettive possono concretarsi nel “perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro”, che, nel caso di specie, sarebbe rintracciabile nella volontà del legislatore italiano di incentivare le assunzioni a tempo indeterminato e quindi la stabilizzazione dell’occupazione.

A bene vedere, secondo la prospettazione della Corte, nel caso in cui il nuovo regime di tutela previsto dal D.lgs. n. 23/2015, meno gravoso per le imprese, non si applicasse anche ai rapporti a tempo determinato antecedenti al 7 marzo 2015, ma stabilizzati solo a partire da quella data, verrebbe totalmente meno qualsiasi effetto di incentivo alla conversione dei contratti a tempo determinato in vigore al 7 marzo 2015 in contratti a tempo indeterminato, con ulteriore frustrazione della ratio del progetto di riforma del mercato del lavoro in cui trova spazio la normativa in esame.


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