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La rinuncia all'impugnazione del licenziamento può desumersi dalla revoca del mandato inviata al difensore

La rinuncia all'impugnazione del licenziamento può desumersi dalla revoca del mandato inviata al difensore

Di Antonio Cazzella

Con sentenza n. 24559 del 18 ottobre 2017 la Corte di Cassazione ha affermato che la rinuncia all’impugnazione del licenziamento può desumersi dalla revoca del mandato inviata al difensore ed ha, quindi, confermato la decisione della Corte di merito che aveva dichiarato inammissibile la domanda diretta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento.

Nel caso di specie, il lavoratore – successivamente all’impugnazione stragiudiziale del licenziamento – aveva inviato al suo difensore una lettera del seguente tenore: “comunico che per ragioni strettamente personali non intendo più promuovere alcuna azione nei confronti della F.lli ….. per contestare l’avvenuta cessazione del mio rapporto di lavoro con la società stessa; la presente costituisce pertanto revoca del mandato a suo tempo conferitovi e resto in attesa di conoscere se e in quale misura vi debbo per eventuali attività svolte nel mio interesse”.

La Suprema Corte ha ricordato che la dichiarazione sottoscritta dal lavoratore “può assumere valore di rinuncia o di transazione … sempre che risulti accertato, sulla base dell’interpretazione del documento, che essa sia stata rilasciata con la consapevolezza di diritti determinati ovvero obiettivamente determinabili e con il cosciente intento di abdicarvi o di transigere sui medesimi” (nello stesso senso, Cass. 20 gennaio 2017, n. 1556).

La Suprema Corte ha rilevato che la dichiarazione del lavoratore, avente ad oggetto un diritto disponibile, aveva la sostanza e la forma di un’ordinaria rinuncia effettuata in sede non protetta.

Inoltre, la Suprema Corte ha evidenziato l’insussistenza di una violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale, in quanto, dall’analisi del dato letterale, emergeva “la chiara e consapevole volontà di non volere più contestare l’avvenuta cessazione del rapporto di lavoro”.

La Corte di Cassazione ha precisato, altresì, che non assumono rilievo le ragioni per le quali il lavoratore si era determinato all’iniziativa di revocare il mandato e di formulare le dichiarazioni ivi contenute, né – tantomeno – il comportamento successivo (espletamento del tentativo di conciliazione ed impugnazione giudiziale del licenziamento), in quanto la dichiarazione inviata al legale non era stata impugnata per vizi di volontà e neppure era stata formulata alcuna contestazione nel termine di sei mesi stabilito dall’art. 2113, secondo comma, cod. civ..

In particolare, la Suprema Corte ha confermato la validità della rinuncia formulata dal lavoratore, nonostante la comunicazione in esame non fosse stata inviata al datore di lavoro, in quanto “essendo quest’ultima susseguente al conferimento di un mandato difensivo e a questo connessa, è ragionevole che fosse indirizzata al proprio procuratore e non alla controparte”.

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