di Diego Meucci
Dopo la legge Fornero sui licenziamenti, la prescrizione dei crediti di lavoro decorre dalla cessazione del rapporto. In sintesi, è questo il principio di diritto pronunciato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 26246 del 6 settembre 2022 su una questione molto controversa dopo la riforma delle tutele contro i licenziamenti operata dalla legge Fornero (e successivamente dal Jobs Act), ovvero il termine di decorrenza della prescrizione per i crediti maturati dai lavoratori verso i datori di lavoro con più di quindici dipendenti.
Sul tema, si ricorda che, fino all’entrata in vigore della legge Fornero, è sempre prevalso l’orientamento giurisprudenziale (espresso anche dalla Corte Costituzionale) secondo cui nei rapporti di lavoro connotati dalla c.d. “stabilità reale” (garantita dalla tutela reintegratoria) il credito poteva estinguersi per prescrizione anche in costanza di rapporto.
In occasione, appunto, dell’introduzione della legge n. 92/2012, è stato però affermato da parte della giurisprudenza e della dottrina il diverso orientamento per cui, a seguito della novella legislativa, la reintegrazione avesse ormai assunto un ruolo marginale, tanto da non giustificare più la decorrenza della prescrizione durante il rapporto di lavoro (proprio per il venir meno della “garanzia” data dalla c.d. “stabilità reale”).
La mancanza di tutela “reale” si è poi ampliata con l’entrata in vigore del decreto sulle c.d. “tutele crescenti” (D. Lgs. n. 23/2015), con cui è stata prevista un’indennità risarcitoria in caso di licenziamento illegittimo per giusta causa, giustificato motivo oggettivo e soggettivo, relegando la reintegra nel posto di lavoro, sostanzialmente, alle ipotesi del licenziamento disciplinare con motivazione insussistente e nei casi gravi previsti dall’art. 2 del D. Lgs. n. 23/2015 (recesso per motivi ritorsivi o discriminatori).
Con recentissima pronunzia, la Cassazione ha confermato l’orientamento affermatosi dopo l’entrata in vigore della summenzionata legge n. 92/2012, statuendo che “il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, così come modulato per effetto della legge n. 92 del 2012 e del D.L.vo n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità”.
Sulla base di tale principio, la Suprema Corte ha quindi ritenuto che il termine di prescrizione debba decorrere dalla cessazione del rapporto di lavoro per tutti quei diritti che non fossero già prescritti al momento di entrata in vigore della L. 92/2012.
La conseguenza di tale pronuncia è che ora qualunque datore di lavoro potrebbe essere esposto a potenziali controversie per crediti del lavoratore sorti sin dal luglio 2007, senza più potere eccepire l’intervenuta prescrizione quinquennale.
Quanto sopra comporta per le aziende la necessità, da un lato, di rivedere fin da subito i tempi di conservazione dei documenti aziendali, così da potere garantire alle stesse un’adeguata difesa anche in relazione ad eventuali domande aventi ad oggetto rivendicazioni economiche risalenti nel tempo (fino appunto al luglio 2007).
Dall’altro lato, potrebbe essere utile prevedere periodici controlli sui trattamenti contrattuali (si pensi, ad esempio, al livello di inquadramento riconosciuto in relazione alle mansioni di fatto espletate) e retributivi riconosciuti ai dipendenti, al fine di verificarne la correttezza e quindi potere in futuro contenere eventuali rivendicazioni economiche da parte dei lavoratori (che, con il passare degli anni, potrebbero far lievitare l’esposizione economica del datore di lavoro), prevedendo, se del caso, accordi in sede protetta per sanare eventuali situazioni a rischio.