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La cassiera, anche part timer, ha diritto all’astensione per maternità anticipata

di Marina Olgiati

Segnalo un indirizzo del Tribunale di Roma, formatosi su iniziative giudiziali di cui siamo stati promotori, in quanto, seppure specifico, può essere di rilievo per un importante numero di aziende del settore della distribuzione moderna organizzata e del terziario in genere.

La vicenda decisa dal Tribunale capitolino prende le mosse dalla richiesta, da parte di una società, di astensione per maternità anticipata, presentata ai sensi dell’art. 17, D. Lgs. n. 151/2001 (“richiesta di allontanamento per interdizione dal lavoro per lavoratrici madri addette a lavori vietati o pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino”) all’Ispettorato Territoriale del Lavoro nell’interesse di alcune dipendenti con mansioni di cassiera, tutte con orario di lavoro part time.

La domanda datoriale era giustificata dal fatto che le mansioni di cassiera, nel contesto lavorativo, comportavano lo stazionamento in piedi per l’intera durata dell’orario di lavoro, nonché la movimentazione manuale dei prodotti portati dai clienti in cassa per l’acquisto, sia di quelli posti direttamente sul nastro trasportatore sia di quelli presentati su carrelli; rispetto a questi ultimi, le operazioni di contabilizzazione comportavano per la cassiera frequenti piegamenti e torsioni del busto per leggere i codici a barre ed il sovraccarico degli arti superiori rispetto alla merce di peso considerevole.

In merito ai compiti sopra individuati, il Documento di Valutazione dei Rischi aziendale espressamente ne prevedeva il divieto in conformità agli artt. 7, all. A, lett. G) (“lavori che comportano una stazione in piedi per più di metà dell’orario o che obbligano ad una posizione particolarmente affaticante”) e 11, all. C, lett. A, 1, g) del D. Lgs. n. 151/2001 (lavori che, per “movimenti e posizioni di lavoro”, possono comportare rischi per il feto).

Nella sua richiesta la società aveva anche adeguatamente illustrato perché non era stato possibile modificare le condizioni di lavoro delle cassiere e neppure adibirle a mansioni diverse: tutte le ulteriori e diverse posizioni lavorative presenti erano ricoperte e, in ogni caso, erano infungibili.

L’ITL di Roma aveva respinto l’istanza di interdizione anticipata dal lavoro, sul presupposto che il DVR, che individuava quale fattore di rischio per la gestante la stazione eretta prolungata per più di metà dell’orario di lavoro, sottintendeva un orario di lavoro a tempo pieno, comunque soggetto alle pause previste dal CCNL applicato e dal regolamento aziendale, durante le quali lavoratrice avrebbe potuto modificare la sua posizione.

Dovendo tutelare le sue dipendenti, a seguito del rigetto dell’istanza la società datrice aveva interpellato la commissione medica interna, di cui era parte il medico competente, che aveva ritenuto pregiudizievole per la gravidanza l’attività di cassiera per le modalità del suo svolgimento, imponendo l’interdizione dal lavoro delle dipendenti coinvolte.

In ottemperanza al parere medico e in conformità alle disposizioni di legge speciali e generali (art. 2087 cod. civ.), le lavoratrici erano state poste in aspettativa retribuita fino all’astensione obbligatoria.

La società aveva poi impugnato il provvedimento di rigetto dell’ITL avanti al Giudice del lavoro, chiedendo l’accertamento dell’incompatibilità delle mansioni di cassiera, per come descritte, con lo stato di gravidanza, l’illegittimità del provvedimento e, conseguentemente, la condanna dell’Ispettorato al risarcimento del danno corrispondente alle retribuzioni e ai contributi versati tra la data di interdizione anticipata e la decorrenza dell’astensione obbligatoria.

Il Tribunale di Roma ha accolto le difese della datrice, ritenendo irrilevante che il rischio per la cassiera gestante, legato allo stazionamento in piedi durante l’orario di lavoro e alla movimentazione manuale delle merci, riguardi un orario full time o part time, perché ciò che conta è che le mansioni di cassiera sono affaticanti e pregiudizievoli per la gestante e per il nascituro; ha dichiarato perciò illegittimo il provvedimento di rigetto dell’istanza da parte dell’Ispettorato, condannandolo a rifondere alla Società retribuzioni e contributi versati a favore delle lavoratrici, così come richiesto in causa (Trib. Roma n. 1123 e 1124/2022 e n. 6193/2020).

Per effetto dell’indirizzo illustrato, l’Ispettorato ha annullato, in regime di autotutela, altri suoi provvedimenti analoghi a quelli contestati in causa.


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