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L’impugnazione del licenziamento è inammissibile se vi è abuso del processo

L’impugnazione del licenziamento è inammissibile se vi è abuso del processo

(Trib. Milano, 9 giugno 2017, n. 10)

Al lavoratore licenziato per giustificato motivo, che agisca in giudizio per chiedere l’accertamento dell’inefficacia del recesso perché comunicato durante la sua assenza per malattia, è precluso il diritto di impugnare il medesimo licenziamento nel merito in un successivo giudizio. La parte processuale non può, infatti, frazionare la domanda di impugnazione in più giudizi, poiché tale modo di procedere integra un “abuso del processo”.

Così ha deciso il Tribunale di Milano nella pronuncia in epigrafe, giudicando un’articolata vicenda nella quale un dirigente aveva, dapprima, adito il medesimo Tribunale per sentire accertare l’inefficacia del suo licenziamento con preavviso, in quanto intimato in costanza di malattia e, in un secondo momento, aveva instaurato un diverso giudizio diretto a contestare nel merito la legittimità del provvedimento datoriale (pretesa insussistenza delle ragioni organizzative/produttive su cui era stato fondato il licenziamento).  

Il secondo Giudice, con la sentenza in commento, ha dichiarato inammissibile l’impugnazione, per violazione del c.d. “divieto di frazionamento giudiziale delle domande”; il lavoratore, infatti, avrebbe dovuto – essendo nelle condizioni, di fatto e di diritto, per poterlo fare - impugnare nel primo giudizio il provvedimento espulsivo anche nel merito.

La decisione del Tribunale di Milano è interessante, in quanto non constano precedenti editi in tema di applicazione al licenziamento del divieto di indebito frazionamento dei giudizi.

Tale principio, infatti, in genere viene applicato in controversie in materia di diritti di credito ed è volto ad impedire che l’attore promuova più procedimenti per il recupero di un credito che, in quanto facente capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti o essendo fondato sullo stesso fatto costitutivo, può essere fatto valere in un unico giudizio; in tal caso, la proposizione di domande “frazionate” in più giudizi, ne determina l’inammissibilità / improponibilità, costituendo “abuso dello strumento processuale” (cfr. Cass. 4 novembre 2016, n. 22503; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21318).

In ambito giuslavoristico, il principio è stato seguito in cause promosse dal lavoratore per il recupero di crediti retributivi attinenti al medesimo rapporto di lavoro (Cass. 10 maggio 2013, n. 11256). Di recente, sono tornate ad occuparsi del tema le Sezioni Unite (Cass., S. U., 16 febbraio 2017, n. 4090; in precedenza, Cass. n. 23726/2007), che, proprio in fattispecie attinenti al recupero di crediti di lavoro, hanno riaffermato il divieto di frazionamento di pretese riguardanti il medesimo rapporto lavoro - che è fonte unitaria di obblighi e doveri - quando la “parcellizzazione dei giudizi” non sia giustificata, in quanto le questioni trattate attengano ad un medesimo fatto costitutivo e siano immediatamente deducibili; ciò, anche considerando che la proposizione di più processi comporta un aggravamento della posizione del debitore e si traduce in un abuso degli strumenti processuali, nonché che la pluralità dei giudizi comporta una moltiplicazione dell’attività istruttoria ed è contraria ai canoni di economia processuale.

Nel caso giudicato, il Tribunale ha dichiarato inammissibile la domanda di accertamento dell’ingiustificatezza del licenziamento, poiché, indubbiamente, il ricorrente era in condizioni di proporla nel primo giudizio in cui aveva chiesto la dichiarazione di inefficacia del medesimo provvedimento; in definitiva – secondo la decisione - tutti i vizi del licenziamento erano deducibili e accertabili in un unico giudizio, essendo fondati sulla medesima vicenda sostanziale. Pertanto, nel caso, la proposizione separata delle due domande si traduceva in un’indebita duplicazione dei procedimenti – rilevabile anche d’ufficio - confliggente con la regola per cui il sistema giudiziario non deve essere sovraccaricato e rallentato da azioni eccedenti le effettive necessità delle parti.

 

 Causa curata da Marina Olgiati e Francesco Torniamenti

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