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L'esecuzione di un ordine illegittimo impartito dal superiore gerarchico: rilevanza disciplinare ed applicabilità dell'art. 51 del codice penale

L'esecuzione di un ordine illegittimo impartito dal superiore gerarchico: rilevanza disciplinare ed applicabilità dell'art. 51 del codice penale

A cura di Antonio Cazzella

 

Con la recente sentenza n. 23600 del 28 settembre 2018 la Corte di Cassazione si è nuovamente pronunciata su un tema che, nell’ambito delle concrete vicende di un rapporto di lavoro, può presentare varie sfaccettature, ovvero la rilevanza, ai fini disciplinari, del comportamento di un lavoratore che esegue un ordine illegittimo del superiore gerarchico.

Nella fattispecie esaminata, era stato richiesto ad un dipendente di simulare l’esecuzione ex novo di alcuni lavori, con contabilizzazione degli stessi nel sistema informatico, poiché, in mancanza di tale stratagemma, non sarebbe stato possibile inserire, nelle cartografie e nel patrimonio aziendale, alcuni metri lineari di tubature installate negli anni precedenti; tale operazione di simulazione dei lavori aveva anche comportato il pagamento degli importi in favore delle ditte indicate come appaltatrici (che non erano quelle che avevano eseguito i lavori), con emissione delle relative fatture, e tali somme erano state detratte da quanto dovuto a tali ditte per altri lavori effettivamente eseguiti.

La Corte di merito ha ritenuto il licenziamento illegittimo, in quanto il dipendente aveva eseguito un ordine del superiore, necessario al fine di aggiornare la cartografia ed il patrimonio aziendale ed ha quindi escluso, in tale contesto, l’intenzione di ledere gli interessi aziendali nonché l’esistenza di altri profili di negligenza a carico del lavoratore.

La Suprema Corte ha riformato la decisione, rilevando, in primo luogo, che la Corte territoriale non aveva tenuto conto che l’ordine impartito dal superiore comportava, pacificamente, la violazione delle procedure interne, in quanto diretto a far apparire nel sistema informatico, come realizzati in quel momento, lavori di posizionamento di tubature, in realtà eseguiti anni prima ad opera di altre ditte, e per i quali erano già stati effettuati i pagamenti.

La Suprema Corte ha, altresì, precisato che la mancanza di una procedura alternativa, che consentisse l’aggiornamento della cartografia, non valeva a rendere automaticamente legittimo uno stratagemma attuato per aggirare le rigidità del sistema, essendo “certamente ipotizzabile l’attuazione di interventi migliorativi sulle procedure in uso ed anzi esigibile dai dipendenti, in adempimento del dovere di diligenza e fedeltà, la segnalazione di inefficienze o limiti del sistema stesso”.

In particolare, la Suprema Corte ha rilevato che l’esecuzione di un ordine illegittimo del superiore non è sufficiente ad escludere la configurabilità di una giusta causa di recesso, non trovando applicazione nel rapporto di lavoro l’art. 51 cod. pen., che esclude la punibilità del comportamento illegittimo, anche se costituente reato, attuato per adempiere un ordine della pubblica autorità.

Pertanto, la Suprema Corte ha affermato che la valutazione di sussumibilità, o meno, nell’art. 2119 cod. civ. dell’esecuzione di un ordine illegittimo impartito dal superiore gerarchico deve tener conto del grado di divergenza dell’ordine rispetto ai principi dell’ordinamento e del carattere palese, o meno, di tale illegittimità.

Si tratta, evidentemente, di valutazioni da effettuare caso per caso.

Infatti, con sentenza n. 23878 del 2 ottobre 2018, la Suprema Corte, a distanza di pochi giorni dalla precedente pronuncia, ha esaminato una fattispecie di licenziamento disciplinare intimato ad un lavoratore che, attenendosi alle disposizioni impartite dal superiore gerarchico (nel caso di specie, l’Area Manager, che pure era stato licenziato unitamente al Direttore Vendite), aveva posto in essere comportamenti scorretti, in violazione delle procedure aziendali, al fine di indurre la clientela a stipulare contratti di fornitura di servizi.

La Suprema Corte ha confermato la decisione della Corte di merito, che aveva ritenuto illegittimo il licenziamento, fondando tale statuizione sulla “estrema diffusività della irregolare pratica commerciale, sulle pressioni effettuate in via gerarchica sul venditore … sulla diffusa consapevolezza nell’ambito aziendale ed in capo ai massimi vertici della società di tali prassi irregolari finalizzate all’incremento di fatturato”.

In questa situazione, la Suprema Corte ha rilevato che, fermo restando il disvalore del comportamento addebitato al dipendente, appare “difficilmente configurabile la lesione dell’elemento fiduciario e la stessa ipotizzabilità del grave inadempimento soggettivo da parte del dipendente per essersi attenuto a specifiche direttive e pressioni dei superiori in un sistema lavorativo talmente pervaso da tali pratiche irregolari da rendere difficilmente immaginabile per il lavoratore, anche in considerazione del ruolo rivestito, la possibilità di rifiutare di adeguarvisi”.

In particolare, la Suprema Corte ha evidenziato che, alla condotta addebitata al dipendente, non poteva attribuirsi – per le ragioni sopra illustrate - la medesima gravità di quella posta in essere dal superiore gerarchico, ritenendo quindi dirimente, al fine di escludere la giusta causa di recesso, il complessivo contesto aziendale in cui aveva operato il lavoratore.

 

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