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Integra una giusta causa di licenziamento la condotta del dirigente che...

A cura di Giuseppe Sacco e Francesco Chiarelli 

...mediante la sottoscrizione di un patto di stabilità non autorizzato dall’organo aziendale competente, intende garantirsi vantaggi economici a danno della società.

Con la sentenza n. 32680 pubblicata in data 7 novembre 2022, la Corte di Cassazione, nel confermare la precedente sentenza di appello, ha stabilito che, configura una giusta causa di licenziamento, la condotta del dirigente che, in qualità di Direttore delle Risorse Umane, sottoscrive un patto di stabilità atto a garantirgli un particolare trattamento economico in caso di cessazione del rapporto di lavoro, qualora siffatta condotta risulti essere in conflitto con gli interessi della società datrice di lavoro non solo per il contenuto del documento ma anche per l’essere stato, tale patto, retrodatato al momento dell’assunzione del dirigente beneficiario e sottoscritto, per conto della società, dall’Amministratore Delegato privo dei necessari poteri rappresentativi.

La Cassazione ha rilevato che il difetto di potere rappresentativo dell’Amministratore Delegato che ha materialmente sottoscritto il patto di stabilità per conto della società era opponibile al dirigente beneficiario in considerazione del ruolo di Direttore delle Risorse Umane da quest’ultimo ricoperto, nonché del fatto che, nel giudizio di appello, era stato accertato che il dirigente licenziato aveva agito intenzionalmente a danno della società.

La sentenza ha ritenuto, inoltre, che, ai fini della valutazione della giusta causa di licenziamento, fosse irrilevante il fatto che il procedimento penale di primo grado promosso ai danni dello stesso dirigente si fosse concluso con l’assoluzione di quest’ultimo. Ciò in quanto la rilevanza disciplinare di un fatto è indipendente dalla sua valutazione penalistica, ovvero dalla sua punibilità in sede penale, ma è autonoma e deve avere ad oggetto l’idoneità del fatto ad integrare una giusta causa o un giustificato motivo del licenziamento.

Infine, la Corte ha rilevato che non vale ad escludere la ricorrenza di una giusta causa di licenziamento la circostanza per cui, nella lettera di contestazione disciplinare, siano stati mossi al dirigente anche ulteriori addebiti, poi non confermati nei gradi di merito.

La Corte di Cassazione ha confermato che, quando il licenziamento sia intimato per giusta causa e siano stati contestati al lavoratore diversi fatti rilevanti sotto il profilo disciplinare, ciascuno di essi, autonomamente considerato, è idoneo ad integrare la giusta causa del recesso, salva l’ipotesi in cui il lavoratore dimostri che gli addebiti, solo se congiuntamente considerati nella loro complessiva gravità, siano tali da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro.

Tale ultima ipotesi è stata ritenuta non ricorrente nel caso di specie dalla Suprema Corte che, di contro, ha evidenziato che la sentenza di appello aveva correttamente accertato che la sottoscrizione di un patto di stabilità nel contesto sopra descritto fosse di per sé sufficiente a giustificare il licenziamento del dirigente.

Rassegna stampa

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