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Il socio e amministratore di s.r.l.s. non risponde per la sottocapitalizzazione della società

Il Tribunale di Milano, con sentenza n. 11105 del 3 dicembre 2019,  ha respinto le domande formulate da un creditore sociale verso il socio ed amministratore di una S.r.l.  semplificata ( s.r.l.s.) -  con capitale sociale di 2.000 euro-  per pretesa responsabilità correlata alla manifesta sottocapitalizzazione della società, con impossibilità della stessa di adempiere agli obblighi contrattuali. La pronuncia ha attestato -  innanzitutto - che nel diritto del lavoro la funzione di garanzia dei creditori sociali svolta dal capitale sociale delle s.r.l. è stata indebolita con le riforme del 2012 e del 2013, che hanno consentito la costituzione di s.r.l.s. con capitale simbolico (introdotta al fine di diminuire tempi e costi e seguendo uno schema ministeriale standard). I Giudici di Milano hanno altresì precisato che, in base alla normativa vigente, la s.r.l.s  è una semplice variante della s.r.l. , pertanto vige il principio cardine secondo cui, per le obbligazioni sociali, risponde la società con il suo patrimonio, anche in presenza di socio unico. Da ciò consegue che quest’ultimo  non può essere chiamato a rispondere, ex artt. 2043 e 2476, 7 co., Cod. Civ. per i danni arrecati ai terzi in ragione della semplice manifesta sottocapitalizzazione della società; poiché l’insufficienza dei mezzi patrimoniali non è di per sé un fatto illecito, in un contesto in cui il legislatore ha incentivato proprio l’utilizzo di tale forma societaria per sviluppare l’iniziativa economica e la nascita di imprese. Diversamente ragionando verrebbe negato il riconoscimento del beneficio della responsabilità limitata a tali soggetti, cosicché gli stessi sarebbero tenuti a rispondere per le obbligazioni assunte dalla società fino al momento in cui non risultino accantonate risorse patrimoniali pari ad almeno 10.000 Euro. E ancora, per il Tribunale, neppure può essere imputata alla convenuta (in qualità di amministratore unico della s.r.l.s.) una responsabilità ex artt. 2394  e  2476  cod. civ. 6 co. Cod. Civ., per aver portato avanti l’attività nonostante questa fosse in perdita, compromettendo l’integrità del patrimonio sociale e pur essendo emersa l’insufficienza del medesimo a soddisfare i creditori sociali. In argomento, la sentenza ha precisato che l’obbligo di conservazione dell’integrità patrimoniale in capo all’amministratore deve essere coniugato con la “fisiologica fatica ed i connessi rischi che connotano l’avvio di una nuova attività imprenditoriale”: a tal fine, occorre far riferimento ai criteri per la verifica ex ante dell’attività gestoria, tratti dagli insegnamenti della disciplina aziendalistica e basati sulle buone prassi imprenditoriali; criteri a cui oggi è riconosciuto il rango di veri e propri obblighi di legge, con l’introduzione del secondo comma dell’art. 2086 Cod. Civ. (fra cui l’adozione di assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati alla natura e dimensioni dell’impresa, nonché l’attivazione di uno degli strumenti previsti per il superamento della crisi e prosecuzione dell’attività). Nel caso in esame, il Tribunale ha concluso che verso l’operato dell’amministratore non dovevano essere mosse censure per violazione di detti obblighi.

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