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Il rischio da quarantena dei lavoratori: la prevenzione a volte non è sufficiente

Di Enrico Vella

Una recente nota di commento di Confindustria alle disposizioni introdotte dall'ultimo DPCM del 3 novembre 2020 ha portato l’attenzione su un tema di grande dibattito nella vita quotidiana delle aziende e, nel contempo, di grande preoccupazione in questo momento in cui si cerca di fare il possibile per mantenere livelli di produzione adeguati, ossia il c.d. rischio da quarantena dei lavoratori.

Ci troviamo ormai nella condizione per cui, nonostante l’adozione delle prescrizioni e misure di sicurezza necessarie come previste nel protocollo aziendale di sicurezza (eventualmente aggiornato), dei limiti, dei divieti agli spostamenti e delle raccomandazioni per contenere il rischio di contagio, e l’utilizzo massivo dello smart working, l’impresa vede decimarsi, a volte anche da un giorno all’altro, i lavoratori presenti poiché risultati positivi al virus - ma asintomatici - ovvero venuti in contatto con persone positive.

A quel punto, le società si trovano costrette a valutare i singoli casi ed adottare soluzioni e criteri per garantire il mantenimento delle attività e nello stesso tempo evitare la moltiplicazione dei contagi sul luogo di lavoro.

La nota di Confindustria mette in luce la “chiave di volta” dell’intera questione, ossia il concetto di “contact tracing” come meglio citato e definito dal Rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità n. 53/2020, inteso come la ricerca e la gestione dei contatti dei casi di COVID-19.

Tale metodo di indagine rappresenta l’elemento centrale delle strategie di prevenzione e controllo del COVID-19 da adottare in questi casi.

Una volta individuato la fonte principale del contagio, precisa il Rapporto, ci si deve porre l’obiettivo di identificare rapidamente i casi secondari e prevenire l’ulteriore trasmissione dell’infezione.

Il processo si svolge essenzialmente attraverso tre fasi: 1) l’identificazione delle persone esposte all’infezione, 2) il colloquio con i contatti, per valutare i sintomi e il rischio, e fornire istruzioni sui comportamenti da tenere e 3) il monitoraggio per 14 giorni dopo l’ultima esposizione, per verificare l’eventuale insorgenza di sintomi e identificare rapidamente i casi secondari, isolarli e trattarli.

Considerato che il distanziamento, così come l’uso della mascherina e l’igiene personale, rappresentano senza dubbio gli strumenti per evitare il contagio, il metodo del contact tracing si basa sulla modulazione di tali misure, e consente di catalogare i lavoratori in base alle diverse situazioni di rischio.

Il livello alto di rischio di contagio per valutare se il lavoratore debba restare in quarantena è integrato nei seguenti casi:

  • una persona che vive nella stessa casa di un caso di COVID-19;
  • una persona che ha avuto un contatto fisico diretto con un caso di COVID-19 (es. la stretta di mano);
  • una persona che ha avuto un contatto diretto non protetto con le secrezioni di un caso di COVID-19 (es. toccare a mani nude fazzoletti di carta usati);
  • una persona che ha avuto un contatto diretto (faccia a faccia) con un caso di COVID-19, a distanza minore di 2 metri e di durata maggiore a 15 minuti;
  • una persona che si è trovata in un ambiente chiuso (es. aula, sala riunioni, sala d’attesa dell’ospedale) con un caso di COVID-19, in assenza di DPI idonei;
  • un operatore sanitario od altra persona che fornisce assistenza diretta ad un caso di COVID19 oppure personale di laboratorio addetto alla manipolazione di campioni di un caso di COVID-19 senza l’impiego dei DPI raccomandati o mediante l’utilizzo di DPI non idonei;
  • una persona che ha viaggiato seduta in treno, aereo o qualsiasi altro mezzo di trasporto entro due posti in qualsiasi direzione rispetto a un caso COVID-19; sono contatti stretti anche i compagni di viaggio e il personale addetto alla sezione dell’aereo/treno dove il caso indice era seduto.


In estrema sintesi, pertanto, assumono una particolare rischiosità i contatti a distanza inferiore di 2 metri per più di 15 minuti, faccia a faccia e la compresenza in ambiente chiuso senza mascherina.

Il concetto di contratto stretto, dunque, è più restrittivo rispetto alle prescrizioni ordinarie di sicurezza e consente alle aziende di valutare se ricorrere o meno all’allontanamento.

La nota di Confindustria evidenzia, infine, quali potrebbero essere delle soluzioni per evitare il “contratto stretto”.

Per esempio, oltre alle consuete misure, la società potrebbe fare un monitoraggio periodico tramite tamponi antigenici rapidi per tenere sotto controllo la presenza e la diffusione del virus, imporre ai dipendenti una maggiore distanza di sicurezza tra le persone (es. 2 metri), nonché l’uso permanente della mascherina chirurgica e, nei contatti continuativi ravvicinati, prevedere l’utilizzo della mascherina FFP2.


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