A cura di Vittorio Provera
La tutela dei creditori sociali di una società cancellata dal registro delle imprese con conseguente estinzione della stessa, pur essendo oggetto di numerose pronunce della Suprema Corte anche a Sez. Unite ( che, dopo la riforma del diritto societario del 2003, ha assunto un orientamento abbastanza costante), è tuttora un tema su cui intervengono interessanti pronunce anche di merito, stante la variegata casistica di situazioni che possono intervenire nella complessa attività di definizione dei beni e rapporti facenti capo ad una società prima della sua estinzione.
Al riguardo, riportiamo una recente sentenza del Tribunale di Milano Sez. Impresa B, del 6 aprile 2017, che si è occupata di un caso certamente non usuale. La controversia è stata avviata da una Banca che aveva concesso un mutuo fondiario (garantito da ipoteca) in favore di una società a responsabilità limitata, poi cancellata dal registro delle imprese nel settembre del 2013 ai sensi dell’art. 2490 c.c. In sostanza, l’azienda era stata cancellata con provvedimento di ufficio per non aver depositato, per tre anni consecutivi, i bilanci relativi alla fase liquidatoria.
In giudizio la Banca attrice aveva convenuto l’unico Socio titolare delle quote della S.r.l. prima della cancellazione, così come emergeva da una visura prodotta in causa.
L’attrice aveva altresì dimostrato che la società era proprietaria di un immobile corrispondente, catastalmente, a quello oggetto della garanzia ipotecaria; immobile che, anche dopo la cancellazione, risultava sostanzialmente iscritto nella Conservatoria dei registri immobiliari, con proprietà in capo al soggetto estinto.
Sulla base di tali elementi l’Istituto di Credito, titolare della garanzia ipotecaria, chiedeva al Tribunale di accertare che - a fronte della dichiarazione di estinzione di ufficio della predetta società ed in assenza di bilancio finale di liquidazione - il bene immobile ipotecato era divenuto di proprietà dell’unico socio.
In tal modo la Banca avrebbe poi potuto procedere alla esecuzione forzata per soddisfacimento del credito.
L’Organo giudicante, sul punto, ha ritenuto applicabile e condivisibile il principio affermato dalla Suprema Corte a Sezioni Unite , con la sentenza n. 6070/2013, secondo cui: “dopo la riforma del diritto societario attuato dal decreto legislativo n. 6 del 2003, qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione del registro di imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: a) l’obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o ilimitatamente a seconda che, “pendente societate”, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle “mere pretese”.
A fronte di tale principio non è dunque possibile, dopo la cancellazione della società, ricondurre eventuali residui attivi nella sfera giuridica della medesima, essendo definitivamente estinta.
I soci, quindi, subentreranno nella titolarità dei rapporti societari ancora pendenti e, per quanto concerne gli eventuali attivi, gli stessi saranno di proprietà dei soci stessi in regime di contitolarità o comunione indivisa.
Ovviamente la circostanza che i soci (nel caso di specie l’unico socio) diventino proprietari di una posta attiva quale è l’immobile, non determina una modifica della destinazione delle attività sociali al soddisfacimento dei creditori, anche alla luce della interpretazione estensiva della previsione dell’art. 2495 comma 2° c.c.. In base a detta interpretazione, permane la responsabilità dei soci non solo entro i limiti delle somme che hanno eventualmente riscosso a fronte del bilancio finale di liquidazione, ma anche delle successive attribuzioni patrimoniali che possono essere pervenute ai predetti soci in dipendenza del loro subentrare nelle posizioni attive della società cancellata.
Di conseguenza il Tribunale, a fronte della predetta azione, ha pronunciato una sentenza di accertamento, che ha riconosciuto formalmente la titolarità del bene immobile in capo al socio con pronuncia che è stata oggetto di trascrizione nei registri immobiliari, anche ai fini di certezza giuridica, formalizzazione della situazione proprietaria e pubblicità immobiliare. Ciò costituisce il presupposto per la successiva azione di esecuzione forzata della banca per il soddisfacimento del proprio credito; il tutto in un contesto ove non vi è una disciplina specifica delle poste attive eventualmente non appostate nel bilancio finale di liquidazione o, come nel caso in esame, in cui la cancellazione ed estinzione è stata disposta d’ufficio per mancato deposito dei bilanci ex art. 2490 c.c., quindi con omissione del bilancio finale di liquidazione.
Tale impostazione, peraltro condivisibile, esclude qualsiasi ricorso allo strumento della “cancellazione” del provvedimento di cancellazione della società, che può essere adottato dal Giudice del Registro delle imprese sostanzialmente solo nei casi in cui il provvedimento di cancellazione risulti fittizio, avendo ad esempio la società continuato l’attività di impresa (in proposito Cassaz. Sez. Un. Sent. 8426/2010).