A cura di Rebecca Pala
Sembra che faremo tutto nel Metaverso. Annunciato da Mark Zuckerberg nel 2021, il Metaverso si presenta come un inedito spazio digitale, incentrato sulla connessione sociale. Tra le molte novità che il Metaverso introduce, si ravvisano anche opportunità economiche – potenzialmente rivoluzionarie – con inevitabili ricadute per il mondo del lavoro. Il diritto del lavoro si trova quindi innanzi ad una trasformazione con nuove sfide riguardanti la gestione del capitale umano, a partire dalla ridefinizione dei diritti dei singoli.
Ma di cosa parliamo veramente? Trattandosi di un concetto assolutamente nuovo, ci troviamo innanzi ad una difficoltà non aggirabile: a cosa dobbiamo pensare, quando sentiamo il termine Metaverso? È uno spazio oltre e autonomo da internet o una piattaforma collocata al suo “interno”?
La discussione intorno a questo nuovo universo ha ricevuto un importante contributo dall’analista e venture capitalist statunitense Matthew Ball, già navigato scrittore in tema di Metaverso, il quale ha spiegato la complessità della comprensione del fenomeno, in quanto siamo abituati a ragionare sulla base delle nostre esperienze. Ciò premesso, non essendoci riferimenti, possiamo dire che il Metaverso sia qualcosa di più di una realtà virtuale, almeno per come siamo abituati a visualizzarla mentalmente. Dunque, in analogia con internet, Ball definisce il Metaverso nei seguenti termini “non è un gioco, né un pezzo di hardware, né una esperienza online. Internet è un ampio insieme di protocolli. Tecnologia, canali e linguaggi, oltre che dispostivi di accesso contenuti ed esperienze di comunicazione al di sopra di quell’insieme. Anche il Metaverso lo sarà”.
Per concretizzare, si tratta, innanzitutto, sia uno spazio tridimensionale, all’interno del quale le persone fisiche possono muoversi ed interagire mediante Avatar, che permettono di instaurare le dinamiche relazionali quotidiane. Si realizza una esperienza persistente, ossia senza interruzioni e possibilità di annullamento, nonché parallela alla realtà fisica, scandita dal tempo reale, nella quale gli avatar potranno vivere esperienze temporalmente limitate.
La caratteristica tipica di questa realtà è esattamente la continuità, più approfonditamente, “l’illusione percettiva di non mediazione”, ossia la sensazione di trovarsi in un luogo senza percepire la tecnologia, attraverso cui si realizza.
Nelle prime righe di questo breve testo, il Metaverso viene definito come qualcosa oltre Internet: orbene, ora – seppur con pochi elementi in più – possiamo specificare che il Metaverso si presenti come altro rispetto ad una semplice “porta di accesso” ad Internet, nel senso di una esperienza incorporata in una realtà tridimensionale virtuale.
Tutto ciò, al pari di qualsiasi altra evoluzione, o rivoluzione – vedremo – richiederà tempo e risorse; mediante lo sviluppo di capacità tecniche e nuovi servizi emergerà la realtà, nel senso di una concreta definizione, del Metaverso.
Quanto al mercato del lavoro, proiettato nella dimensione del Metaverso, di cui peraltro esistono già alcuni tentativi e timidi approcci, la nuova dimensione virtuale si preannuncia come fonte di nuove forme di collaborazioni e interazioni a distanza, superando in via definitiva le difficoltà derivanti da problematiche di disconnessione e isolamento.
Questa realtà in divenire porta con sé numerosi interrogativi di natura giuridica in ordine ai mezzi di tutela e controllo, considerato che non solo non c’è uno Stato, ma nemmeno un territorio. La nascita del Metaverso realizza una eterotopia – termine coniato dal filosofo francese Michel Foucault – ossia l’insieme di “quegli spazi che hanno la particolare caratteristica di essere connessi a tutti gli altri spazi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire l'insieme dei rapporti che essi stessi designano, riflettono o rispecchiano”.
Addentrandosi nel cuore della questione, i singoli interagiscono nella realtà estesa con i propri Avatar, i quali saranno in grado di percepire lo spazio e il tempo mediante una simulazione. Ogni Avatar, in qualità di espediente attraverso cui l’individuo si esprime nella realtà virtuale, ha quindi diritto a autodeterminarsi e vivere liberalmente la realtà sociale.
È essenziale riepilogare il concetto di identità personale, già elaborata da alcuni decenni dalla giurisprudenza, secondo cui con tale espressione debba intendersi il modo di atteggiarsi dell’individuo nella realtà sociale generale o particolare (Cassazione civile sez. I, 07/02/1996, n.978). Risulta quindi evidente che la nozione è strettamente correlata alla dimensione sociale, nella quale ciascun soggetto è inserito, realtà che, peraltro, ha un ruolo nella definizione dell’individuo medesima.
L’avvento della tecnologia nonché il suo continuo sviluppo ha costruito numerose ipotesi di identità digitale, ora definita dal legislatore nei seguenti termini “rappresentazione informatica della corrispondenza biunivoca tra un utente ed i suoi attributi identificativi, verificata attraverso l'insieme dei dati raccolti e registrati in forma digitale” (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 24 ottobre 2014).
Ipotizzando di estendere tale concetto anche nella realtà virtuale del Metaverso – in cui, preme ricordare la corporalità e quindi la dimensione fisica dell’individuo è rinvenuta nell’Avatar – ciascun Avatar sarebbe esattamente una sorta di longa manus del soggetto fisico che vive la dimensionale materiale.
Applicando tali considerazioni al mondo del lavoro, che è lo scopo di questo breve articolo, può ipotizzarsi innanzitutto che in un mondo non troppo lontano – in alcuni casi più vicino, se non presente – le aziende opereranno nel Metaverso con un necessario apporto di forza lavoro, ça va sans dire, i corrispettivi Avatar. Considerato che ciò introdurrà delle problematiche inedite, delle quali è attualmente difficoltoso avere contezza, tra le molte emergerà anche il tema disciplinare.
Le considerazioni riporte sin qui consentono certamente di individuare i lavoratori nel Metaverso e in quanto tali titolari di diritti o obblighi. Verrebbe da sé che possa configurarsi, quindi, una responsabilità per un fatto disciplinarmente rilevante, commesso nel Metaverso, ma con quali conseguenze?
L’interrogativo si pone dal momento che fatti, eventualmente occorsi nel Metaverso, sarebbero compiuti dagli Avatar e non direttamente dai soggetti fisici che rappresentano.
Come noto, gli Avatar sono dotati di una sensibilità percettiva, la quale consente loro di esprimersi pienamente nonché interagire nella comunità. Sembrano qui applicabili le considerazioni formulate in merito alla responsabilità penale degli enti, oggi formalmente riconosciuta dal noto D.lgs. 231 del 2001. Il legislatore ha quindi superato il principio di responsabilità personale per il fatto commesso, riconosciuta al solo soggetto fisico, estendendo la medesima anche alle società.
Inoltre, deve tenersi conto che sempre il diritto penale è incentrato su un altro principio fondamentale di garanzia, ossia quello di materialità, in virtù del quale un soggetto risponde esclusivamente per un fatto commesso, ossia quell’accadimento che ha avuto una qualche estrinsecazione nella realtà. Questo assunto fonda il principio di materialità, il quale governa la materia penale. Si escludono quindi tutte le situazioni che, esaurendosi nella sfera psichica dell'autore, non trovano una concreta manifestazione nella realtà esterna. Analogamente, seppur con meno rigore, può dirsi per la materia giuslavoristica: la definizione di ciò che può avere una rilevanza disciplinare è esclusivamente un fatto, venuto concretamente a realizzarsi, che incide sul rapporto di lavoro.
Posto che, come abbondantemente esposto, l’Avatar è ben più che una semplice esteriorizzazione del pensiero del corrispondente fisico, in quanto la personificazione virtuale dell’individuo svolge un’autentica attività di decisione e di relazione continua con gli altri consociati, rispetto ai quali possono effettivamente riscontrarsi quei “fatti rilevanti”.
Ad ora, tutti i fatti, accaduti nel Metaverso e oggetto di discussione, hanno per lo più una rilevanza a fini penalistici. Certo è che l’esperienza virtuale, nel suo stadio più avanzato, ha assunto una qualche dimensione di autenticità, nel senso di esperienza immersiva e di continuità con la realtà fisica: tutto ciò richiederà in primo luogo la definizione di una pronta tutela giuridica. Ma, a breve, potrebbe non bastare: molte categorie giuridiche hanno riconcorso il progresso tecnologico con risultati più o meno esaustivi. Il Metaverso sarà il banco di prova per il legislatore e per i giuristi, i quali si dovranno concentrare sulla rimodulazione, concreta e non virtuale, di suddetti concetti di diritto e di diritti.