Di Roberto Pettinelli
La sentenza n. 19062 del 14 settembre 2020 della Corte di Cassazione costituisce l’ultima tappa del percorso interpretativo relativo al rapporto tra malattia e ferie e risponde positivamente alla questione della possibilità per il lavoratore assente per malattia di domandare la fruizione delle ferie maturate e non godute, allo scopo di sospendere il decorso del periodo di comporto e, quindi, evitare il recesso del datore di lavoro ex art. 2110 cod. civ.. Il punto di bilanciamento trovato dalla Corte è rinvenuto nell’assenza di una incompatibilità assoluta tra i due istituti, sebbene poi alla richiesta del lavoratore non corrisponda comunque un obbligo del datore di lavoro di accedere alla richiesta, ove ricorrano ragioni organizzative di natura ostativa.
La conclusione cui si giunge è del tutto sintonica con quanto disposto dall’art. 2109, comma 2 cod. civ. il quale attribuisce unicamente al datore di lavoro il potere di determinare il periodo feriale secondo un giudizio. Senonché siffatta pretesa creditoria, riconducibile in via prioritaria alla matrice negoziale del rapporto di lavoro, è sottoposta ad un giudizio di bilanciamento, espressamente stabilito nel co. 2 citato, tra le esigenze dell’impresa e gli interessi del prestatore di lavoro che traspone, sul piano specifico, il più generale obbligo di correttezza e buona fede in executivis previsto dagli artt. 1175 e 1375 cod. civ.
In tal modo già alcune precedenti sentenze, pur dandosi atto dell’assenza di norme capaci di imporre la collocazione in ferie, rimessa invece ad una vantazione discrezionale del datore di lavoro chiamato a bilanciare esigenze contrapposte, si è registrato un aggravamento probatorio della posizione datoriale, specificamente chiamato, al fine di evitare il licenziamento, in ossequio alle clausole generali della correttezza di buona, fede e correttezza, di venire incontro alla richiesta del lavoratore, una volta ponderati i contrapposti interessi (Cass. 7 giugno 2013, n. 14471). Laddove invece il datore di lavoro rinvenga specifiche ragioni ostative all’accoglimento della richiesta feriale, esse sono soggette al vaglio di ragionevolezza ad opera della magistratura, la quale richiede una specificazione dettagliata delle esigenze organizzative aziendali e censura ogni motivazione vaga o inconsistente.
È insomma al datore di lavoro, cui è generalmente riservato il diritto di scelta del tempo delle ferie, che spetta dimostrare di aver tenuto conto, nell’assumere la relativa decisione, del rilevante e fondamentale interesse del lavoratore ad evitare la possibile perdita del posto di lavoro per scadenza del periodo di comporto (Cass. 9 aprile 2003 n. 5521).
Non vale comunque ad escludere la concessione delle ferie la mera facoltà del dipendente di fruire di altre regolamentazioni legali o contrattuali che gli consentano di evitare la risoluzione del rapporto per superamento del periodo di comporto, e in particolare del collocamento in aspettativa, ancorché non retribuita (Cass. 8 novembre 2000, n. 14490, Cass. 9 aprile 2003, n. 5521; Cass. 10 novembre 2004, n. 21385). La richiesta di ferie è invero considerata comunque facoltà specificamente volta all’esercizio di un diritto costituzionalmente tutelato, sicché non vi è alcun obbligo del lavoratore di avvalersi di regolamentazioni legali o contrattuali che gli consentano di evitare la risoluzione del rapporto quando in concreto non sussistano ragioni ostative rispetto ad una richiesta di ferie tempestivamente avanzata e che avrebbe consentito al dipendente di proseguire nel rapporto di lavoro senza dover far ricorso all’aspettativa.