A cura di Bonaventura Minutolo
...antecedente la legge n. 76/2016.
Occorre, anzitutto, chiarire l’equivoco giurisprudenziale che, finora, ha impedito la rimessione della questione alla Corte Costituzionale e/o alla Corte di giustizia europea e/o alla Corte Europea dei diritti dell’uomo, circa la tutela del richiamato diritto in riguardo a quei rapporti esistenti prima dell’entrata in vigore della richiamata legge.
La Suprema Corte di Cassazione, con le sentenze 14.3.2022 n. 8241 e 14.9.2021 n. 24634, annullando, rispettivamente, le decisioni della Corte d’Appello di Bologna n. 183/2019 e di Milano n. 1500/2018, ha ritenuto non applicabile – retroattivamente, la legge del 2016 – che ha consentito il riconoscimento della pensione di reversibilità anche in favore del partner superstite del convivente di fatto. Il dinego fa leva sul rilievo della carenza del presupposto richiesto dalla legge per tale riconoscimento; vale a dire la formalizzazione del rapporto di convivenza de quo. Al riguardo, è stato osservato che la stessa Corte di Cassazione (ordinanza 30.9.2021 n. 26651) ha valorizzato la convivenza more uxorio in tema di riparto della pensione di reversibilità tra coniuge ed ex coniuge, ammettendo il coniuge interessato alla prova circa la durata della convivenza prematrimoniale, sul presupposto che la convivenza di fatto debba avere – nel contesto normativo -, soprattutto costituzionale, un’autonoma rilevanza giuridica (Cass. sez. 7.12.2011 n. 26358 e Cass. n. 18199 del 18.8.2006).
Sul tema, quindi, riteniamo che sia maturo il tempo in cui l’elaborazione giurisprudenziale sposti il focus della questione non sui presupposti richiesti dalla normativa (legge n. 76/2016) per il riconoscimento del menzionato diritto, ma sul diverso tema riguardante l’aspetto discriminatorio di una normativa che si pone in netto contrasto con il disposto degli artt. 2,3,36 e 38 Cost., nonché: a) degli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali; b) degli artt. 10, 19 e 157 TFUE; c) della direttiva n. 2006/54 CE.
L’assunto della Cassazione secondo cui, se il legislatore pone quale presupposto della fruizione del diritto di reversibilità della pensione la sussistenza del formale rapporto di coniugio, non sarebbe possibile sollevare la questione di legittimità costituzionale della legge n. 76 del 2016, così come il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia per la corretta interpretazione del diritto dell’Unione etc., non convince, perché il contenuto discriminatorio della normativa in questione non costituisce oggetto del procedimento interpretativo di cui all’art. 12 delle preleggi, sicchè il controllo circa la costituzionalità di una norma (come nella specie) richiede: il confronto tra ciò che la norma garantisce o vuole riconoscere al cittadino (art. 2: i diritti inviolabili dell’uomo; art. 3) uguaglianza e pari dignità sociale di tutti i cittadini, senza discriminazione di sorta; art. 36) diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro; art. 38) diritto all’assistenza sociale di ogni cittadino inabile al lavoro. Altrettanto si verifica quanto al controllo circa la conformità della legislazione nazionale a quella sovranazionale; sia, dunque, alle direttive della Comunità Europea 2006/54 CE; 2000/78 CE; alla Carta dei diritti fondamentali e TFUE articoli 10.19 e 157.
Al riguardo, appare opportuno un breve richiamo circa l’interpretazione dell’art. 45 e 7 TFUE che, secondo una consolidata giurisprudenza, riconosce che la regola della parità di trattamento sancita da tali disposizioni vieta non solo le discriminazioni manifeste, fondate sulla nazionalità, ma anche qualsiasi forma dissimulata di discriminazione che, attraverso l’applicazione di altri criteri distintivi, conduca di fatto al medesimo risultato (v. in tal senso: sent. CE 12.2.1974, Sotgiu; 152/73 ed altre). In tale contesto, la Corte Europea ha precisato che una disposizione di diritto nazionale, seppure indistintamente applicabile in base alla nazionalità, deve essere considerata indirettamente discriminatoria qualora sia suscettibile, per sua stessa natura di pregiudicare maggiormente i lavoratori cittadini di altri stati membri rispetto ai lavoratori nazionali, di conseguenza di penalizzare più in particolare i primi, a meno che essa non sia oggettivamente giustificata e proporzionata all’obiettivo perseguito. Cosi come viene applicata nel caso di specie, la normativa lussemburghese impone, in riferimento ad un’unione civile costituita e registrata in un altro Stato membro, secondo le pertinenti norme di tale Stato, una condizione alla quale non è assoggettata un’unione civile in Lussemburgo.
In conclusione – mutatis mutandis - un controllo circa la conformità della legge n. 76 del 2016 alla Carta Costituzionale, nonché alle norme della Corte di Giustizia Europea e/o della Corte Europea e dei diritti dell’uomo, non ci sembra possa essere precluso dalla considerazione che la legge n. 76 del 2016 non prevede la sua applicazione anche nei rapporti di coniugio non formalizzati, perché sorti precedentemente alla sua entrata in vigore. Si tratterebbe, in sostanza, di ammettere che il diritto alla reversibilità, riconosciuta dalla legge del 2016 n. 76 – senza una sostanziale ragione – consenta il riconoscimento di diritti costituzionalmente protetti a determinati soggetti e non ad altri, che pure versano nella stessa situazione di fatto.