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I requisiti del corrispettivo a favore del dipendente nel patto di non concorrenza ai sensi dell'art. 2125 cod. civ.

Di Antonio Cazzella

 

Con la recente sentenza n. 5540 del 1° marzo 2021, la Corte di Cassazione si è pronunciata sui requisiti del corrispettivo a favore del lavoratore nell’ambito di un patto di non concorrenza stipulato ai sensi dell’art. 2125 cod. civ., che era stato dichiarato nullo in quanto, secondo la valutazione della Corte di merito, il corrispettivo non era determinato, nè – tantomeno - determinabile.

Nella fattispecie esaminata, la Corte di merito aveva evidenziato che il patto di non concorrenza non prevedeva una durata minima - ovvero, in alternativa, la corresponsione al dipendente di un importo minimo garantito e predeterminato a priori – sicchè l’ammontare del compenso dipendeva dalla durata del rapporto di lavoro.

La Suprema Corte, richiamando alcuni principi affermati in precedenti pronunce, ha ricordato che il compenso stabilito nel patto di non concorrenza deve rispettare i requisiti previsti dall’art. 1346 cod. civ. e, quindi, deve essere determinato o determinabile.

In particolare, la Corte di Cassazione ha evidenziato che la formulazione letterale dell’art. 2125 cod. civ. richiede, esclusivamente, che sia fissato un compenso a favore del prestatore di lavoro: ciò nonostante, la Suprema Corte ha rilevato che la sanzione della nullità del patto, prevista dalla norma in esame per mancanza dei requisiti richiesti, rappresentando una sanzione estrema, “porta a ritenere che un requisito di adeguatezza sia implicito nella formulazione dell’art. 2125 cod. civ. e risponda alla stessa ratio sottesa alla imposizione dei limiti di oggetto, tempo e luogo”, con la conseguenza che – salva la possibilità di invocare, ove concretamente applicabili, gli istituti della rescissione per lesione e dell’eccessiva onerosità sopravvenuta previsti dagli artt. 1448 e 1467 cod. civ. – “l’espressa previsione della nullità va riferita alla pattuizione non solo di compensi simbolici, ma anche di compensi manifestamente iniqui o sproporzionati in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore, alla riduzione delle sue capacità di guadagno, indipendentemente dall’utilità che il comportamento richiesto rappresenta per il datore di lavoro, come dal suo ipotetico valore di mercato”.

Pertanto, ferma restando la necessità di una rigorosa valutazione in ordine al corrispettivo pattuito in favore del prestatore, che deve tener conto del sacrificio imposto nonché di ogni circostanza del caso concreto, la Suprema Corte ha affermato che è necessario distinguere tra la nullità del patto di non concorrenza per indeterminatezza o indeterminabilità del corrispettivo spettante al lavoratore e le ipotesi di nullità derivanti dalla totale assenza di un corrispettivo, ovvero da pattuizioni che prevedano un corrispettivo simbolico, manifestamente iniquo o sproporzionato.

Alla luce di tali principi, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza gravata, rilevando che la motivazione addotta dalla Corte di merito - secondo cui il compenso stabilito nel patto esaminato non sarebbe determinabile in base a parametri oggettivi, in quanto dipendente dalla variabile legata alla durata del rapporto di lavoro - contiene una palese contraddizione “perché dire che un corrispettivo è variabile in relazione alla durata del rapporto di lavoro, non significa affatto che esso non sia determinabile in base a parametri oggettivi, atteso che si ha determinabilità quando sono indicati, anche per relationem, i criteri in base ai quali si fissa la prestazione, così sottratta al mero arbitrio”.

In conclusione, per stabilire se il patto di non concorrenza rispetta i requisiti dell’art. 2125 cod. civ., si deve tener conto della determinabilità o determinatezza del corrispettivo (che non può ritenersi automaticamente esclusa per il fatto che non sia prevista una durata minima garantita del patto ovvero un compenso minimo garantito), nonché verificare che il corrispettivo - determinato o determinabile - non sia simbolico, manifestamente iniquo ovvero sproporzionato rispetto al sacrificio richiesto al lavoratore ed alla riduzione della sua capacità di guadagno.


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