Diritto di critica e di satira sul luogo di lavoro
A cura di Stefano Beretta e Antonio Cazzella
Con sentenza n. 14527 del 6 giugno 2018 la Suprema Corte ha esaminato una fattispecie inerente il licenziamento intimato a cinque dipendenti, che – in vari luoghi sul posto di lavoro – avevano realizzato una macabra rappresentazione scenica del finto suicidio dell’amministratore delegato della società, tramite impiccagione su un patibolo e del successivo funerale, con contestuale affissione di un manifesto che simulava una sorta di testamento, ove si attribuivano all’amministratore stesso le morti per suicidio di alcuni lavoratori e la deportazione di altri ad uno stabilimento della società.
La Corte d’Appello, riformando la sentenza di primo grado, ha ritenuto illegittimo il licenziamento, sul presupposto che la rappresentazione scenica realizzata, per quanto aspra e sarcastica, non avesse travalicato i limiti di continenza del diritto di svolgere, anche pubblicamente, valutazioni e critiche dell’operato altrui (quindi anche del datore di lavoro).
La Cassazione ha riformato la sentenza della Corte territoriale, ritenendo violato il parametro normativo che prevede il bilanciamento effettivo dei due interessi costituzionalmente rilevanti nella fattispecie, ossia il diritto di critica e la tutela della persona umana.
In particolare, la Suprema Corte ha evidenziato che, pur essendo incontestato che la plateale inverosimiglianza dei fatti espressi in forma satirica conduce, in genere, ad escludere la loro capacità di offendere la reputazione altrui, la satira non può esorbitare dal requisito della continenza.
Nella fattispecie, tale limite è stato superato, in quanto i dipendenti avevano attribuito all’amministratore delegato “qualità riprovevoli e moralmente disonorevoli, esponendo il destinatario al pubblico dileggio, effettuando accostamenti e riferimenti violenti e deprecabili in modo da suscitare sdegno, disistima, nonché derisione e irrisione”, con ciò travalicando il limite della tutela della persona umana garantito dall’art. 2 della Costituzione “che impone, anche a fronte dell’esercizio del diritto di critica e di satira, l’adozione di forme espositive seppur incisive e ironiche, ma pur sempre misurate, tali da evitare di evocare pretese indegnità personali”.