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Decreto Dignità: il Ministero del Lavoro fornisce le prime indicazioni interpretative in tema di contratto a termine e di somministrazione

Decreto Dignità: il Ministero del Lavoro fornisce le prime indicazioni interpretative in tema di contratto a termine e di somministrazione

A cura di Tommaso Targa e Enrico Vella

 

Il 31 ottobre, con la circolare n. 17/2018, il Ministero del Lavoro ha fornito i primi chiarimenti sulla nuova disciplina introdotta dal d.lgs. 12 luglio 2018 n. 87, convertito dalla L. 9 agosto 2018 n. 96, noto come “Decreto Dignità”.

L’intervento ministeriale, molto atteso specie dalle Aziende e dalle agenzie di somministrazione di lavoro temporaneo, è giunto allo scadere del regime transitorio, introdotto dal Legislatore per consentire che l’entrata in vigore della nuova disciplina avvenisse in modo graduale.

L’intento è dichiarato nell’incipit: “favorire l’uniforme applicazione della nuova disciplina” in tema di contratto a termine e di somministrazione, “anche in considerazione delle numerose richieste di chiarimento finora pervenute a questo Ministero”.

Per prima cosa, il Ministero si è occupato del CONTRATTO A TERMINE, affrontando il tema del computo dei periodi contrattuali ai fini della verifica del superamento del limite massimo di durata dei 12 mesi, oltre al quale la validità richiede la c.d. “causale”.

Al riguardo - nel ribadire che le condizioni che consentono di superare i 12 mesi sono rappresentate esclusivamente da esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività, o da esigenze di sostituzione di altri lavoratori, o da esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attività ordinaria - la circolare ha precisato: “si deve tener conto della durata complessiva dei rapporti di lavoro a termine intercorsi tra lo stesso datore di lavoro e lo stesso lavoratore, considerando sia la durata di quelli già conclusi, sia la durata di quello che si intende eventualmente prorogare”.

A titolo esemplificativo, il Ministero ha esposto il caso in cui si voglia prorogare di 6 mesi un primo contratto a termine della durata di 10 mesi; in tale ipotesi, la proroga dovrà essere supportata da una giustificazione “… in quanto complessivamente il rapporto di lavoro avrà una durata superiore a tale limite, come previsto dall’articolo 19, comma 4, del d.lgs. n. 81/2015”. Per contro, una proroga di soli 2 mesi non richiederebbe il rispetto delle condizioni di legge.

E, dunque, vale il seguente principio: la c.d. “causale” è sempre necessaria quando si supera il periodo di 12 mesi, anche se il superamento avviene a seguito della proroga di un contratto originariamente inferiore ai 12 mesi.

Ciò vale anche in caso di stipula di un contratto a termine, oltre il limite massimo di durata, presso le sedi territorialmente competenti dell’Ispettorato nazionale del lavoro: possibilità introdotta nel nostro ordinamento, lo ricordiamo, dal D.Lgs. 368/2001 e confermata poi dal “jobs act”.

Al riguardo, il Ministero ha precisato che anche il contratto stipulato presso l’I.T.L., in deroga al limite massimo di 12 mesi, dovrà essere sostenuto da una causale, ai sensi degli articoli 21, comma 01, e 19, comma 1, del Decreto Legislativo n. 81/2015.

La circolare ha quindi rinviato alle indicazioni di cui alla circolare n. 13/2008 con la quale, a suo tempo, il Ministero aveva fornito chiarimenti interpretativi sulle novità introdotte dalla L. 247/2007 in tema di contratto a termine.

Si ribadisce, infatti, che l’intervento dell’Ispettorato è finalizzato esclusivamente alla “verifica circa la completezza e la correttezza <<formale>> del contenuto del contratto a tempo determinato”, nonché alla “genuinità del consenso del lavoratore alla sottoscrizione dello stesso, senza che tale intervento possa determinare effetti certificativi in ordine alla effettiva sussistenza dei presupposti giustificativi richiesti dalla legge.”, che mantengono dunque la loro validità. Con ciò sembra volersi ribadire, in sostanza, che il ruolo certificativo dell’Ispettorato e la sede di stipula particolarmente qualificata non dispensano il datore di lavoro dagli obblighi di specificazione della causale.

La causale non dovrà necessariamente risultare per iscritto nelle ipotesi in cui non è richiesta ex lege a pena di nullità; tuttavia, essa dovrà essere comunque indicata nel caso in cui si volesse “usufruire dei benefici previsti da altre disposizioni di legge (ad esempio per gli sgravi contributivi di cui all’articolo 4, commi 3 e 4, del decreto legislativo n. 151 del 2001, riconosciuti ai datori di lavoro che assumono a tempo determinato in sostituzione di lavorartici e lavoratori in congedo)”.

Il Ministero è intervenuto anche a chiarimento della disciplina delle proroghe e dei rinnovi. Sotto i 12 mesi è sempre possibile prorogare liberamente il contratto a termine, mentre per il rinnovo è richiesta l’indicazione della causale.

La ragione giustificatrice viene vista come il “filo conduttore” che accompagna il contratto, le sue proroghe ed i suoi rinnovi.

E cosi, in caso di proroga, precisa il Ministero, è necessario “che restino invariate le ragioni che avevano giustificato inizialmente l’assunzione a termine, fatta eccezione per la necessità di prorogarne la durata entro il termine di scadenza” ed una modificazione della motivazionedarebbe luogo ad un nuovo contratto a termine ricadente nella disciplina del rinnovo, anche se ciò avviene senza soluzione di continuità con il precedente rapporto”.

Si ha rinnovo anche quando un nuovo contratto a termine decorre dopo la scadenza del precedente contratto.

Il numero massimo di proroghe non può essere superiore a 4, entro i limiti di durata massima del contratto e a prescindere dal numero dei contratti (articolo 21, comma 1, del d.lgs. n. 81/2015), con esclusione di quelli attivati per lo svolgimento di attività stagionali (articolo 21, comma 01).

La circolare ha anche affrontato il ruolo della contrattazione collettiva.

I contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (intendendosi, secondo la definizione degli stessi contenuta all’articolo 51 del d.lgs. n. 81/2015, quelli nazionali, territoriali o aziendali) possono derogare alla disciplina di legge in tema di durata contrattuale (e dunque possono prevedere una durata dei contratti superiore ai 24 mesi), mentre non possono intervenire sul regime delle causali.

Potranno continuare ad essere stipulati contratti a termine di durata superiore ai 24 mesi in forza di accordi sindacali sottoscritti prima del 14 luglio 2018, ma ciò potrà avvenire soltanto sino a quando detta contrattazione collettiva rimarrà in vigore. Con questa specificazione, la Circolare sembra cercare di supplire alla mancanza, nel Decreto, di una disciplina transitoria con riferimento ai rinvii alla contrattazione collettiva.

A completamento, la Circolare ha confermato che l’incremento della contribuzione previdenziale dello 0,5% a carico del datore di lavoro opera in occasione di ciascun rinnovo del contratto a tempo determinato, anche in somministrazione (e dunque la percentuale dell’1,4% viene aumentata dello 0,5% in occasione di tutti i rinnovi), ma non anche in caso di proroga.

Passando invece alla SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO, il Ministero, in generale, nel ricordare che il “Decreto Dignità” ha esteso la disciplina del contratto a tempo determinato anche al contratto di somministrazione, con la sola eccezione di alcune specifiche previsioni, ha precisato che le nuove regole si applicano al rapporto di lavoro tra l’agenzia di somministrazione ed il lavoratore.

Sempre sotto un profilo generale, il Legislatore non ha introdotto alcuna modifica per quanto attiene l’invio in missione di lavoratori assunti a tempo indeterminato dal somministratore. I lavoratori assunti a tempo indeterminato dalla agenzia possono essere inviati in missione, sia a tempo indeterminato che a termine presso gli utilizzatori, senza obbligo di causale o limiti di durata, fermi i limiti percentuali stabiliti dalla legge.

Quest’ultima precisazione della circolare è utile poiché, all’indomani dell’entrata in vigore del decreto, taluni commentatori avevano ipotizzato invece che, in capo all’utilizzatore, dovessero sussistere le condizioni (ossia una causale temporanea), anche in ipotesi di somministrazione di personale assunto a tempo indeterminato dall’Agenzia. Alla luce di questo chiarimento, è plausibile che la somministrazione a termine di lavoratori assunti a tempo indeterminato dall’Agenzia (che, in questo modo, si farà carico del rischio di impresa legato all’assunzione) possa essere uno degli strumenti che le aziende utilizzeranno nella gestione delle proprie esigenze organizzative, ove non fosse possibile individuare valide causali di assunzione a termine. 

La circolare ha affrontato, quindi, il tema del periodo massimo di occupazione di un lavoratore utilizzato prima come dipendente e, poi, come lavoratore somministrato. In tale caso, la durata del rapporto, deve essere valutata con riferimento non solo al rapporto di lavoro che il lavoratore ha avuto con il somministratore, ma anche in relazione ai rapporti con il singolo utilizzatore. Ai fini del computo dei 24 mesi, i periodi dovranno sommarsi ove vi sia parità di mansioni e categoria legale.

Si dovrà tenere anche conto di tutti i rapporti di somministrazione intercorsi tra le parti, ivi compresi quelli antecedenti alla data di entrata in vigore della riforma. Con la conseguenza che, raggiunto il limite massimo, il datore di lavoro non potrà più ricorrere alla somministrazione di lavoro a tempo determinato con lo stesso lavoratore per svolgere mansioni di pari livello e della medesima categoria legale. Con questo chiarimento, la Circolare ha preso posizione su un’altra questione interpretativa controversa. In questi mesi, infatti, ci si era interrogati sulla applicabilità del limite massimo di 24 mesi anche in ipotesi di cumulo di periodi di somministrazione in capo allo stesso utilizzatore, senza alcuna assunzione a termine da parte di quest’ultimo. La risposta del Ministero è negativa: la soglia di 24 mesi si applica tanto al cumulo di contratti a termine e periodi di somministrazione, quanto a quello di soli periodi di somministrazione. 

L’estensione operata dal decreto-legge n. 87 delle disposizioni previste per il contratto a termine anche ai rapporti di lavoro a termine instaurati tra somministratore e lavoratore ha lasciato inalterata la possibilità, riconosciuta alla contrattazione collettiva, di disciplinare diversamente il regime delle proroghe e della loro durata (art. 34, comma 2, del d.lgs. n. 81/2015).

In merito alle causali nell’ambito del contratto di somministrazione, si conferma che le condizioni si applicano esclusivamente con riferimento all’utilizzatore; pertanto, il contratto di lavoro stipulato dal somministratore con il lavoratore dovrà indicare una motivazione e questa dovrà esser riferita alle esigenze dell’utilizzatore.

L’obbligo di specificare le motivazioni del ricorso alla somministrazione di lavoratori a termine sorge non solo quando i periodi siano riferiti al medesimo utilizzatore nello svolgimento di una missione di durata superiore a 12 mesi, ma anche qualora lo stesso utilizzatore abbia instaurato un precedente contratto di lavoro a termine con il medesimo lavoratore per lo svolgimento di mansioni di pari livello e categoria.

Al riguardo, il Ministero ha fornito alcuni casi esemplificativi:

- in caso di precedente rapporto di lavoro a termine di durata inferiore a 12 mesi, un eventuale periodo successivo di missione presso lo stesso soggetto richiede sempre l’indicazione delle motivazioni in quanto tale fattispecie è assimilabile ad un rinnovo;

- in caso di precedente rapporto di lavoro a termine di durata pari a 12 mesi, è possibile svolgere per il restante periodo e tra i medesimi soggetti una missione in somministrazione a termine, specificando una delle condizioni indicate all’articolo 19, comma 1, del d.lgs. n. 81/2015;

- in caso di un periodo di missione in somministrazione a termine fino a 12 mesi, è possibile per l’utilizzatore assumere il medesimo lavoratore direttamente con un contratto a tempo determinato per una durata massima di 12 mesi indicando la relativa motivazione.

Gli esempi di cui sopra dimostrano che il Ministero ha accolto, anche sotto questo aspetto, l’interpretazione più rigida della disciplina. 

Viene inoltre trattato il tema del limite quantitativo di lavoratori somministrati, relativamente al quale, come si ricorda, la legge di conversione del decreto-legge n. 87 ha introdotto un tetto massimo (contingentamento misto) all’utilizzo dei lavoratori somministrati a termine e contratti a termine, pari alla percentuale massima complessiva del 30% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza presso l’utilizzatore.

La percentuale del contingentamento misto, conferma il Ministero, è derogabile dalla contrattazione collettiva (nazionale, territoriale e aziendale) al fine di tenere conto delle esigenze dei diversi settori produttivi.

Anche in questo caso, come accade per i contratti a termine, i contratti collettivi in corso che prevedono già una deroga in tale senso (ossia disposizioni relative al contingentamento misto) mantengono la loro validità fino alla loro naturale scadenza, sia con riferimento ai limiti quantitativi eventualmente fissati per il ricorso al contratto a tempo determinato sia a quelli fissati per il ricorso alla somministrazione a termine.

In particolare, si precisa che tale limite percentuale trova applicazione per ogni nuova assunzione a termine o in somministrazione avvenuta dopo il 12 agosto 2018. E così si chiarisce che “qualora presso l’utilizzatore sia presente una percentuale di lavoratori, a termine e somministrati a termine con contratti stipulati in data antecedente alla data del 12 agosto 2018, superiore a quello fissato dalla legge, i rapporti in corso potranno continuare fino alla loro iniziale scadenza. In tal caso, pertanto, non sarà possibile effettuare nuove assunzioni né proroghe per i rapporti in corso fino a quando il datore di lavoro o l’utilizzatore non rientri entro i nuovi limiti.”

Continuano a rimanere esclusi dall’applicazione dei predetti limiti quantitativi i lavoratori somministrati a tempo determinato che rientrino nelle categorie richiamate all’art. 31, comma 2, del d.lgs. n. 81/2015 (quali, a puro titolo di esempio, disoccupati che fruiscono da almeno 6 mesi di trattamenti di disoccupazione non agricola o di ammortizzatori sociali, soggetti svantaggiati o molto svantaggiati).

Un capitolo conclusivo viene dedicato, infine, al REGIME TRANSITORIO, che, come accennato, si è concluso il 31 ottobre u.s.

Il chiarimento precisa che, sino al 31 ottobre 2018, le proroghe ed i rinnovi restano disciplinati dalle disposizioni del d.lgs. n. 81/2015, nella formulazione antecedente al decreto-legge n. 87. Poiché la Circolare afferma che, sino al 31 ottobre, proroghe e rinnovi di contratti “in corso” potevano essere effettuate senza causale, l’espressione “contratti in corso” sembrerebbe deporre a favore dell’interpretazione prevalente secondo cui il regime transitorio consentiva di concordare proroghe e rinnovi, anche in relazione a contratti in scadenza dopo il 31 ottobre.

Lo spirito del regime transitorio è (anzi era) quello di “sottrarre i rinnovi e le proroghe dei contratti in corso alla immediata applicazione dei nuovi limiti” e quindi di consentire l’introduzione della nuova disciplina in modo progressivo e “ritardato”.

Dando una lettura sistematica al “Decreto Dignità”, il periodo transitorio, aggiunge e conclude il Ministero, si applica non solo ai contratti a termine ma anche alla somministrazione di lavoro a tempo determinato.

Dal 1° novembre 2018, pertanto, le disposizioni introdotte con la riforma, compreso l’obbligo di indicare le condizioni in caso di rinnovi (sempre) e di proroghe (dopo i 12 mesi), sono a tutti gli effetti ormai integralmente operanti.

 

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