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Codatorialità: quando il licenziamento è inefficace

Se un dipendente presta la sua opera in un regime di codatorialità, non può essere licenziato nell'ambito di una procedura di mobilità avviata dalla società che è “formalmente” sua datrice di lavoro. Lo ha stabilito con una recente sentenza la Corte di Cassazione.

Il caso particolare di un lavoratore ha dato modo alla Suprema Corte di ripercorrere l’evoluzione della giurisprudenza riguardo alla codatorialità del rapporto di lavoro, chiarendo alcuni punti fermi. Vediamoli insieme.

 

I fatti: il licenziamento

La sentenza di cui ci occupiamo è la n. 267 del 9 gennaio 2019. La vicenda oggetto di giudizio vede al centro un lavoratore che aveva svolto la propria prestazione lavorativa, indistintamente, in favore di società facenti parte del medesimo gruppo. Egli era stato poi licenziato nell'ambito di una procedura di mobilità avviata dalla società "formalmente" datrice di lavoro. Ritenendo il provvedimento ingiusto, si era quindi rivolto alla Corte di merito.

 

La sentenza della Cassazione: licenziamento inefficace, reintegro in servizio e condanna delle società  

La Cassazione ha confermato la sentenza della Corte di merito, ritenendo inefficace il licenziamento intimato al dipendente e ordinandone il reintegro in servizio. La società controllante e quella controllata sono state inoltre condannate a pagargli un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto per il periodo che va dalla data del recesso a quella della reintegrazione.

 

Le motivazioni della sentenza: chiarimenti sul regime di codatorialità

La Suprema Corte ha richiamato come, nella giurisprudenza (le sentenze richiamate sono Cass. n. 25763 del 2009 e Cass. n. 11107 del 2006), il collegamento economico-funzionale tra società dello stesso gruppo non sia sufficiente ad estendere gli obblighi di un rapporto di lavoro subordinato (tra un lavoratore e una società) ad altre società del gruppo, a meno che non sussistano questi quattro requisiti:

  • unicità della struttura organizzativa e produttiva;
  • integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo e il correlativo interesse comune;
  • coordinamento tecnico e amministrativo-finanziario tale da individuare un unico soggetto direttivo che faccia confluire le diverse attività delle singole imprese verso uno scopo comune;
  • utilizzazione contemporanea della prestazione lavorativa da parte delle varie società titolari delle distinte imprese, nel senso che la stessa sia svolta in modo indifferenziato e contemporaneamente in favore dei vari imprenditori.

Grande importanza assume, in questo contesto, anche la nozione di "direzione e coordinamento" di società introdotta dall'articolo 2497 del Codice Civile. In particolare, la direzione ed il coordinamento che compete alla società capogruppo e che qualifica il fenomeno dell'integrazione societaria, può evolversi in forme molteplici, da un livello di integrazione “fisiologico” ad una ingerenza che di fatto annulla l'autonomia organizzativa delle singole società (in questo secondo caso si individua un uso puramente opportunistico della struttura di gruppo).

In particolare, ha sottolineato la Suprema Corte, in presenza del quarto requisito prima citato, vale a dire della utilizzazione promiscua della forza lavoro da parte delle diverse società del gruppo, queste possono essere considerate codatrici del medesimo lavoratore, secondo lo schema dell'obbligazione soggettivamente complessa.

È, questo, precisamente il caso del lavoratore interessato dalla sentenza, il quale di fatto aveva prestato la propria opera, in modo del tutto indistinto, per rispondere alle esigenze del gruppo (svolgendo la propria prestazione in modo particolare in favore della capogruppo), "così evidenziando l'esistenza di una stretta integrazione tra le attività esercitate dalle varie imprese del gruppo e di un coordinamento volto a far confluire le attività delle singole imprese verso un interesse comune, anche attraverso l'utilizzo promiscuo dei dipendenti".

Per questo motivo la Cassazione ha confermato la correttezza della sentenza della Corte di merito, e ordinato, come già ricordato, l’indennizzo e il reintegro in servizio del lavoratore licenziato.

 

Articolo di approfondimento: http://www.diritto24.ilsole24ore.com/art/dirittoLavoro/2019-01-16/l-inefficacia-licenziamento-caso-codatorialita-rapporto-lavoro-102536.php

 

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