(Tribunale di Udine, sentenza 24 giugno 2019)
causa seguita da Tommaso Targa
Per giurisprudenza consolidata, di legittimità e di merito, il patto di non concorrenza post contrattuale, stipulato ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2125 cod. civ., deve contenere il vincolo entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo. La sua ampiezza non può essere tale da comprimere totalmente l’esplicazione della concreta professionalità del lavoratore, in limiti che non salvaguardino un margine di attività coerente con la sua professionalità già acquisita e sufficiente per il soddisfacimento delle sue esigenze di vita.
Partendo da queste premesse, la sentenza in commento ha dichiarato la nullità di un patto di non concorrenza che inibiva al lavoratore lo svolgimento, in favore di società concorrenti, di qualunque mansione, anche differente da quella espletata in costanza del rapporto di lavoro di cui il suddetto patto costituiva un vincolo accessorio. Già questo aspetto è stato ritenuto di dubbia validità, considerando che il lavoratore in questione - un manager di comprovata e lunga esperienza - aveva sempre lavorato nello stesso settore merceologico.
D’altro canto, nel caso qui esaminato, l’aspetto di nullità del patto sul quale si è concentrata la sentenza riguarda il profilo della sua estensione geografica. Infatti, oltre ad individuare una zona territorialmente definita (Italia), il patto inibiva lo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa in qualunque altro territorio estero ove fosse operante un cliente dell’ex datore di lavoro. Secondo la sentenza, quest’ultimo aspetto è di per sé sufficiente a comportare la nullità del patto di non concorrenza perché rende impossibile determinare ex ante l’ampiezza geografica del patto di non concorrenza: al momento della sottoscrizione del medesimo, il datore di lavoro potrebbe non avere ancora taluni clienti, successivamente acquisiti, la cui ubicazione geografica comporta un’estensione ex post della zona di operatività del vincolo.
Inoltre, la nullità del patto è stata accertata considerando l’effetto combinato della ampiezza oggettiva del medesimo (qualunque mansione in favore di concorrenti) e della zona geografica che - ferma la sua genericità - potrebbe potenzialmente riguardare una buona parte del mondo. In sostanza, il patto di cui si discute, se fosse valido, costringerebbe il lavoratore, per tutta la durata del vincolo, a restare disoccupato, oppure cercarsi un’occupazione – difficilissima da trovare - in un settore diverso da quello ove egli ha sempre svolto la propria attività.
A tutto questo si aggiunge poi un aspetto ulteriore di nullità del patto, relativo alla determinazione del corrispettivo. Qui la sentenza in commento, conformemente all’orientamento ormai prevalente (Trib. Milano, 28 settembre 2010, Trib. Milano, 04 marzo 2009, Trib. Milano, 13 agosto 2007, Trib. Milano, 18 giugno 2001, Trib. Milano 11 settembre 2004), ha ritenuto invalida la previsione del pagamento di un importo fisso mensile, senza minimo garantito: in questo modo, il corrispettivo è inevitabilmente aleatorio perché dipende dalla durata del rapporto di lavoro e potenzialmente, in ipotesi di breve durata del medesimo, potrebbe rappresentare una somma palesemente incongrua, specie se raffrontata all’ampiezza del vincolo che già di per sé, per le ragioni di cui sopra, è stata ritenuta eccessiva.