Di Vittorio Provera
È legittima la sanzione della censura inflitta all’avvocato che, in una lettera raccomandata, esprime apprezzamenti sconvenienti su colleghi per l’attività svolta nell’ambito di vertenza aziendale di lavoro, in cui anche il medesimo aveva partecipato in diverso giudizio. Il principio è affermato dalla Suprema Corte a Sezione Unite, con sentenza n. 13168 del 17/05/2021. La vicenda origina da un esposto di alcuni avvocati che denunciavano il contenuto offensivo e diffamatorio di una lettera inviata da un collega ad una società nonché ad organizzazioni sindacali coinvolte in una vertenza di lavoro. Nella lettera, commentando una pronuncia di Cassazione che aveva respinto le domande dei lavoratori assistiti dai legali promotori dell’esposto, si affermava che la causa “sembrava gestita per essere persa e questa è la convinzione dei lavoratori che si sono defraudati anche perché è loro difensore in Cassazione non hanno presentato alcuna memoria”.
Ad esito del procedimento, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati comminava la sanzione della censura. Impugnata la decisione, il Consiglio Nazionale Forense, con sentenza n. 71 del 2020, confermava la legittimità del provvedimento. È stato quindi proposto ricorso per Cassazione lamentando la genericità degli addebiti e l’asserita violazione degli artt. 24 e 25 Cost., sostenendo che era lecito far conoscere ai destinatari il parere del legale sull’esito del giudizio e sulla veridicità di un patto tra organizzazioni sindacali e datrice di lavoro a danno dei lavoratori. La Corte ha respinto il ricorso, ritenendo esservi stata violazione di doveri di lealtà e correttezza che devono essere rispettati nell’esercizio dell’attività professionale ed in particolare nei rapporti con i colleghi in base all’art. 52 codice deontologico vigente.
Per la configurabilità dell’illecito disciplinare è sufficiente “sotto il profilo oggettivo il tenore e irriguardoso e dispregiativo dello scritto, implicitamente evocante un infedele patrocinio, e sotto il profilo soggettivo l’intento rivendicato dallo stesso incolpato, di esprimere apprezzamenti negativi sulla personalità ed il patrimonio morale degli offesi”. Pertanto, anche in presenza di comportamenti perfino illeciti di colleghi, l’avvocato è tenuto ad “esprimere il proprio biasimo o formulare la propria denuncia in modo rispettoso della personalità e della reputazione altrui, astenendosi da ingiustificata animosità ed a toni irriguardosi...”. Quindi, “anche a voler ritenere che tali avvocati fossero effettivamente venuti meno agli obblighi assunti nei confronti dei loro clienti; improntando la loro strategia processuale a scelte contrastanti negli interessi di questi ultimi e volte invece a favorire la controparte il contenuto ed il tono della missiva avrebbero dovuto mantenersi rigorosamente nei limiti di una corretta critica dell’operato e di una eventuale biasimo verso il loro comportamento senza trasmodare in apprezzamenti offensivi dispregiativi contrastanti con le dignità e il decoro della professione”.
Tralasciando il profilo deontologico, si segnala che il legale avrebbe ben potuto promuovere iniziative nelle sedi opportune in merito ad eventuale condotta deontologicamente e professionalmente scorretta dei colleghi, con forse maggior efficacia per gli interessi dei patrocinati.