A cura di Claudio Ponari
Con il decreto reso dal Tribunale di Trieste in data 23 settembre 2022, la giurisprudenza è tornata a pronunciarsi sui diritti collettivi di informazione e consultazione (I&C) sindacale previsti dalla contrattazione collettiva (nella specie dal CCNL Metalmeccanico) e dalla vigente normativa nel caso di ristrutturazioni che possano comportare licenziamenti collettivi.
Il profilo di novità offerto dalla pronuncia del Giudice di Trieste riguarda la circostanza che in questo caso gli obblighi di I&C toccano non soltanto gli ambiti tradizionali definiti dal contratto collettivo e dalla Legge 223/1991, ma anche il loro rapporto con i nuovi obblighi introdotti dalla legge finanziaria 234/2021.
Nel caso deciso dal Tribunale di Trieste le OO.SS. avevano, infatti, lamentato il mancato rispetto da parte dell’Azienda degli obblighi di informativa previsti dal CCNL, peraltro rafforzati dalla contrattazione aziendale, in relazione ai “fatti relativi all’andamento della produzione, suscettibili di ricadute occupazionali”, dolendosi della scelta del datore di lavoro di procedere direttamente con la comunicazione prevista dalla L. 30 dicembre 2021, n. 234, in relazione alla decisione di chiudere il sito produttivo.
In quel procedimento le OO.SS. avevano, altresì, contestato l’idoneità della comunicazione inviata dall’Azienda ad assolvere al precetto normativo introdotto dalla L. 234/2021, sostenendo che la sua genericità li avrebbe messi nell’impossibilità di partecipare con piena consapevolezza agli incontri con il datore di lavoro.
L’Azienda si era difesa, escludendo la ricorrenza delle suddette violazioni e richiamando la previsione dell’art. 9, comma 3, del CCNL applicato nella parte in cui detta pattuizione prevede l’assorbimento delle procedure previste dalla contrattazione collettiva nel caso, come quello in questione, in cui vi fosse la necessità di porre in essere le procedure di licenziamento collettivo previste dalla legge 23 luglio 1991, n. 223 (e precedute dalla procedura ex Lege 234/2021, in virtù della consistenza occupazionale dell’Azienda).
Il Tribunale, in accoglimento delle richieste delle OO.SS., ha rigettato la prospettazione aziendale in base ad un’interpretazione rigorosa della lettera dell’art. 9 del CCNL applicato che non prevede l’assorbimento dei diritti collettivi di informazione, per il caso in cui sia necessario procedere con la procedura introdotta dalla L. 234/2021.
Il Giudice ha infatti espressamente motivato a proposito della diversità del perimetro di riferimento della procedura prevista dalla legge 234/21 che avendo “ad oggetto sempre e comunque vicende di chiusura siti produttivi e quindi di elevata emergenza occupazionale” avrebbe un ambito non necessariamente coincidente con quello della L. 223/1991.
Il Tribunale ha quindi ritenuto integrata la condotta antisindacale essendo obbligo dell’Azienda “informare i sindacati sull’andamento dell’attività produttiva e sul progressivo degradarsi della competitività dello stabilimento”, laddove il mancato confronto con le OO.SS. avrebbe impedito “quel condizionamento virtuoso delle scelte dell’azienda che è il fine ultimo delle norme contrattuali in esame”.
Il provvedimento ha anche rilevato la necessità che l’informativa alle OO.SS. sia resa in conformità al principio della buona fede contrattuale, con modalità temporali idonee a garantire l’efficacia dell’iniziativa sindacale, nel rispetto dei precetti posti dall’art. 4 del d.lgs 25/2007 attuativo della direttiva UE 2002/14/Ce.
Il Tribunale ha pertanto ordinato la revoca della comunicazione prevista dalla L. 234/2021 “affinchè si dia luogo alla concertazione tra datore di lavoro e sindacati, prevista da contrattazione collettiva ed integrativa”, giudicando che detto provvedimento integri l’unica modalità utile ad ottenere l’effetto repressivo previsto dalla legge, così da permettere al sindacato di svolgere il ruolo assegnatogli nell’ambito della contrattazione collettiva nazionale ed integrativa.
In aggiunta il Giudice ha ravvisato nella condotta aziendale un’attitudine lesiva dell’immagine delle OO.SS. il cui ruolo sarebbe stato completamente negletto dal comportamento aziendale ed aggravato dalla risonanza della vicenda portata all’attenzione del pubblico dai media locali e nazionali.
Per tale ragione il Giudice ha liquidato a ciascuna OO.SS. un risarcimento di € 50 mila a titolo di danno all’immagine.
Il decreto del Tribunale di Trieste costituisce il più recente arresto giurisprudenziale in materia di diritti collettivi di informazione e si pone in continuità con la nota pronuncia di Firenze (caso GKN) che, parimenti, avendo rilevato una violazione della procedura di I&C sindacale, prevista dal medesimo CCNL e della contrattazione integrativa, ha ordinato la revoca della procedura di licenziamento collettivo (nella fattispecie non vi era ancora la procedura introdotta dalla L. 234/2021) e dei licenziamenti medio tempore intimati e ordinato, anche in quel caso, di procedere con la procedura di I&C prescritta dal CCNL.
Entrambi i Tribunali hanno giudicato integrata la fattispecie della condotta antisindacale sul presupposto dell’intervenuto svuotamento delle prerogative del sindacato, posto in ambedue le situazioni dinanzi al fatto compiuto e quindi privato del suo diritto al confronto ed all’interlocuzione preventiva rispetto alla decisione aziendale di procedere alla cessazione dell’attività produttiva ed alla chiusura dello stabilimento.
Inoltre tutte e due le pronunce hanno escluso che la clausola del CCNL che prevede l’assorbimento delle procedure di I&C contrattual-collettive per l’ipotesi in cui sia necessario procedere con un licenziamento collettivo operi, in base ad un’interpretazione restrittiva della clausola del CCNL e in ragione del fatto che la clausola di assorbimento non riguarderebbe, comunque, gli obblighi derivanti dalla contrattazione integrativa.
Tale orientamento, tuttavia, non è univoco rinvenendosi anche pronunce che hanno interpretato diversamente la medesima previsione contrattuale come avvenuto, ad esempio, nel caso affine deciso dal Tribunale di Monza con il provvedimento del 12 ottobre 2021, per vero successivamente riformata proprio con riferimento a tale statuizione dal medesimo Tribunale nel successivo giudizio di opposizione.
In quella fattispecie, infatti, il Giudice di Monza ha escluso la ricorrenza di una condotta antisindacale avendo dato atto che l’Azienda aveva dimostrato di aver incontrato, periodicamente, i rappresentanti aziendali, pur emergendo “un’importante e marcata difficoltà di comunicazione nelle relazioni industriali contraddistinta da un acceso conflitto tra le parti”.
Ad ogni modo, detto Tribunale, interpretando diversamente la clausola di assorbimento del CCNL, ha giudicato che “..posto il corretto avvio della procedura (ex lege 223/1991) si esclude che ad una violazione dell’art. 9 del CCNL possa conseguirne l’annullamento”.
Tuttavia, come già ricordato, nel successivo giudizio di opposizione il medesimo Tribunale ha parzialmente riformato il precedente provvedimento, giudicando integrata la violazione dell’art. 9 del CCNL Metalmeccanico, ritenendo che le informazioni scambiate dall’Azienda nei precedenti incontri con le OO.SS. avessero riguardato “all’evidenza…anche la modifica dei livelli occupazionali…ma non le informazioni sulle eventuali misure di contrasto previste al fine di evitare o attenuare le conseguenze dei rischi occupazionali”.
In punto, il Giudice dell’opposizione ha motivato che “nè si può ritenere che laddove nell’art.9 si legge che “Le Parti si danno atto che le procedure previste dalla Legge 23 luglio 1991, n. 223, dalla Legge 29 dicembre 1990, n. 428 nonché dal DPR n. 218 del 2000 assorbono e sostituiscono le procedure di informazione e consultazione in materia” i contraenti abbiano voluto ritenere assorbite nella procedura dell’art. 4 della legge 223/1991 anche informazioni relative alla chiusura degli stabilimenti”.
Il Tribunale ha invece respinto nuovamente la richiesta di dichiarare l’illegittimità e l’annullamento della procedura di licenziamento collettivo sul presupposto che “tale domanda non può trovare accoglimento, in quanto difetta…il nesso causale tra la violazione del suddetto obbligo informativo e l’attuazione del procedimento di licenziamento collettivo…”.
Infine, si segnala anche la pronuncia del Tribunale di Ancona che con il provvedimento del 22 febbraio 2022, pur ritenendo violati gli obblighi di informazione collettiva, ha, tuttavia, escluso – in continuità con il pronunciamento di Monza- che “sussista un nesso causale tra l’apertura della procedura di licenziamento collettivo e la mancata consultazione sindacale, di cui la prima possa considerarsi effetto della seconda, considerato che secondo i principi generali che presiedono alla valutazione della sussistenza del nesso causale in caso di comportamenti omissivi alla stregua di un giudizio controfattuale fondato sulla regola del più probabile che non” mutuata dall’art. 41 c.p., non v’è modo di affermare la probabilità che il corretto svolgimento delle procedure di informazione avrebbe permesso di evitare l’avvio dei licenziamenti collettivi”.
Con la medesima pronunzia, il Giudice di Ancona ha quindi accertato la natura antisindacale della condotta aziendale, consistita nel non aver tempestivamente adempiuto agli obblighi di informazione preventiva previsti dal contratto collettivo, ma ha escluso che tale violazione sia idonea ad inficiare la validità della procedura di licenziamento collettivo, avviata ai sensi della legge 223/1991.
Il Tribunale di Ancona ha invece ritenuto la condotta aziendale atta a “ledere in maniera rilevante l’immagine ed il ruolo dell’associazione sindacale quale soggetto rappresentativo degli interessi dei lavoratori e in grado di tutelare gli stessi” e per tale ragione il Giudice ha riconosciuto all’O.S. attrice un risarcimento di € 50 mila.
In conclusione la disamina che precede rende evidente come la tematica che riguarda i diritti di informazione collettiva e, in particolare, la relazione esistente tra gli obblighi di fonte contrattuale e quelli di fonte normativa, recentemente implementati dalla Legge 234/2021, sia di stringente attualità. Per vero le diverse interpretazioni adottate dai Tribunali denunziano chiaramente la difficoltà di pervenire ad una lettura del tutto univoca della portata di tali obblighi, specie, per quel che riguarda i casi sopracitati, con riferimento alla clausola prevista dal CCNL Metalmeccanico che prevede l’assorbimento delle procedure di informazione e consultazione previste dal CCNL nel caso in cui sia necessario adottare “le procedure previste dalla Legge 23 luglio 1991, n. 223 e dalla Legge 29 Dicembre 1990, n. 428 nonché dal DPR 218/2000” ancorché è indiscutibile che la giurisprudenza si sia infine assestata su un’interpretazione estremamente limitativa della salvezza introdotta dall’art. 9 comma 3 del CCNL Metalmeccanico.
Invero, pur comprendendo le ragioni della soluzione ermeneutica a questo punto generalmente adottata, e, in particolare la necessità di rispettare la previsione del decreto legislativo 25/2007 che è esplicito nel negare all’autonomia collettiva la facoltà di neutralizzare la portata del decreto attuativo della Direttiva UE 2002/14/CE, non ci si può esimere dall’evidenziare che le soluzioni adottate dalla giurisprudenza sembrano non essere in linea con i parametri ermeneutici previsti dal codice civile, dal momento che la soluzione accolta finisce con il negare, in realtà, alla previsione dell’art. 9 comma 3 del CCNL alcun effetto concreto, contrastando quantomeno con il principio di conservazione del contratto.
Viceversa, in relazione al punto che attiene agli effetti della pronuncia di antisindacalità, gli arresti dei Tribunale di Ancona e Monza sembrano essere condivisibili tanto più che in tutti i casi l’Azienda aveva comunque poi proceduto ad avviare la procedura della L. 223/1991 (e, nel caso di Trieste, la pre-procedura introdotta dalla L.234/2021).
Diversamente la sanzione dell’annullamento della procedura stessa adottata dai Tribunali di Firenze e Trieste sembra avulsa dalle sanzioni tipizzate dalla L. 223/1992 e dal d.lgs 23/2015.
Infine, v’è poi un’ulteriore considerazione che attiene all’effettiva utilità della scelta seguita dal legislatore e dalle parti sociali di moltiplicare i momenti di confronto con le OO.SS. che precedono, ad esempio, un licenziamento collettivo determinato dalla necessità di procedere con la chiusura di un sito produttivo.
C’è infatti da chiedersi se il prevedere in caso di gravi crisi aziendali molteplici momenti di confronto con le OO.SS. e cioè: quello regolamentato dalla contrattazione collettiva, quello previsto dalla Legge 234/2021 (per vero con la partecipazione del MI.SE) e da ultimo quello previsto dalla Legge 223/1991, in considerazione dell’attuale livello delle relazioni sindacale, sia davvero la soluzione migliore.
In punto si potrebbe piuttosto valutare de iure condendo, se sia possibile trovare soluzioni diverse che permettano il rilancio dell’azienda e la conservazione dell’occupazione attraverso il ricorso a specifiche politiche di salvaguardia da realizzarsi con la partecipazione di esperti e funzionari governativi specificamente formati e qualificati e con le OO.SS. intervenendo su tre distinti pilastri: fiscale, contributivo e retributivo a fronte di specifici impegni di mantenimento della presenza imprenditoriale e della salvaguardia dell’occupazione. Si potrebbe infatti ipotizzare l’accesso a forme di detassazione e di decontribuzione limitate nel tempo ed un intervento di riduzione salariale concordato con le OO.SS. a fronte dell’assunzione di impegni di conservazione dell’occupazione, sanzionati rigorosamente in caso di abusi.
Il dato dell’esperienza, infatti, tende a ritenere ragionevole pensare che la semplice mera reiterazione di momenti di confronto – magari con tavoli troppo allargati- nell’attuale contesto non costituisca la soluzione più efficiente, rischiando al contrario di risolversi in un ben poco utile incremento della conflittualità oltre che in un irrigidimento delle posizioni degli interlocutori del confronto senza contare che un eccessivo anticipo nel veicolare determinate informazioni potrebbe essere addirittura controproducente determinando tensioni finanziarie atte a aggravare la crisi piuttosto che contribuire a risolverla.