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Aumento dei costi dell’energia: in difetto di rinegoziazione secondo buona fede, il Giudice può ordinare la cessazione del contratto

di Francesco Autelitano

Una recente ordinanza cautelare interviene sul tema del caro energia, tema di stretta attualità e particolarmente dibattuto per le implicazioni economiche e sociali, affrontandone gli aspetti giuridici e contrattuali nei rapporti fra Imprese, con statuizioni di notevole interesse sia per la rilevanza dei principi di diritto affermati sia per i risvolti pratici (Trib. Arezzo, 22 giugno 2022).

 

Nella specie, una società esercente l’attività di deposito, stoccaggio e movimentazione merci ha presentato ricorso cautelare ex art. 700 cod. proc. civ., deducendo di svolgere per conto di alcuni clienti l’attività sopra indicata, in relazione a prodotti gelati, congelati e surgelati, che prevede l’utilizzo di apposite celle frigorifero. La ricorrente ha osservato che tra i costi di esercizio necessari per lo svolgimento del servizio, il consumo di energia elettrica rappresenta una voce di costo considerevole. La medesima ha, quindi, evidenziato che, a seguito dello straordinario aumento del prezzo dell’energia elettrica verificatosi di recente, i corrispettivi concordati fra le parti in tempi in cui il costo energetico era stabile risultano del tutto inadeguati. Per tale ragione, la medesima parte ricorrente ha invitato il cliente a concordare una revisione del contratto, in modo da adeguarlo in coerenza con i parametri iniziali, ottenendo un rifiuto alla negoziazione, se non sulla base di proposte che, dai dati contabili ed economici prodotti in causa, risultavano largamente insufficienti a riequilibrare il rapporto. La parte ricorrente ha, conclusivamente, chiesto al Giudice di ordinare in via d’urgenza la cessazione del servizio, a causa degli irreparabili danni in caso di prosecuzione, tali da mettere a repentaglio la continuità aziendale.

 

Il Tribunale adito, al fine di esaminare il ricorso d’urgenza, ha valutato la sussistenza dei due tipici presupposti cautelari, rispettivamente il fumus boni iuris e il periculum in mora. Quanto al primo, è stata vagliata la sussistenza dei presupposti della risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta e la violazione da parte della resistente del principio di buona fede nell’esecuzione del contratto, consistita nella totale chiusura dimostrata a fronte della richiesta di ricontrattare le condizioni contrattuali avanzata dalla ricorrente. Circa il periculum in mora, il Tribunale ha dovuto verificare se, come dedotto dalla ricorrente, il protrarsi della situazione a condizioni contrattuali immutate potesse provocare il concreto rischio di crisi irreparabile dell’impresa, anche con riferimento alla continuità aziendale e alla conservazione dei posti di lavoro dei dipendenti.

 

In relazione alle questioni affrontate, sopra sintetizzate, il Giudice cautelare ha, anzitutto, osservato che l'eccessiva onerosità sopravvenuta, che, ai sensi dell'art. 1467 cod. civ., giustifica la risoluzione dei contratti di fornitura, non è ravvisabile nella mera variazione del costo delle materie prime rientrante nella ordinaria oscillazione dei prezzi e, quindi, nell'alea normale del contratto, dovendo consistere in abnormi cause di natura economica e finanziaria, di carattere generale o particolare, che incidano sui prezzi stessi in maniera straordinaria e imprevedibile. Nel caso di specie, il Tribunale ha ritenuto che ricorresse tale ipotesi, avendo l’energia elettrica raggiunto dei costi non prevedibili e superiori rispetto alle normali oscillazioni di mercato in ragione della crisi economica e finanziaria, alla quale si è aggiunto il conflitto bellico in atto in Europa; sottolineando, peraltro, che la voce di costo relativa all’energia elettrica riveste una notevole incidenza nell’ambito dell’attività economica esercitata dalla società ricorrente e che lo squilibrio tra le prestazioni cui le parti contrattuali sono rispettivamente tenute non appare avere carattere temporaneo, protraendosi in misura sempre maggiore da molti mesi.

 

Tanto premesso, il Giudice ha espresso un primo principio di diritto importante, laddove ha affermato che, qualora nel corso del rapporto si verifichi una sopravvenienza idonea a determinare uno squilibrio rispetto al sinallagma iniziale, la parte svantaggiata ha il diritto di accedere alla trattativa per la rinegoziazione da svolgersi secondo buona fede. Il che non significa che si imponga l’obbligo di pervenire a un accordo modificativo del contratto, né tantomeno che il Giudice possa autoritativamente cambiare il contenuto del medesimo, ma significa che l’altra parte ha il dovere di procedere alla trattativa in modo effettivo, secondo i principi di correttezza contrattuale, aderendo alla richiesta in tal senso formulata dalla parte svantaggiata. Su tale premessa, il Giudice, dopo aver accertato che nel caso di specie la resistente non si era resa disponibile a rinegoziare in modo costruttivo le condizioni contrattuali, ha ribadito la sussistenza dei presupposti per la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta. Tanto stabilito in punto di fumus boni iuris, il Tribunale ha giudicato altresì sussistenti le condizioni per anticipare gli effetti della risoluzione del contratto, mediante ordinanza cautelare d’urgenza, in considerazione del pericolo imminente di danni irreparabili in caso di ritardo (periculum in mora). In proposito, l’ordinanza rileva che sono stati prodotti agli atti documenti idonei a provare la crisi economica che ha colpito la società ricorrente imputabile al rincaro energetico, al quale non è seguito un adeguato aumento dei compensi per i servizi resi, con conseguente rischio oggettivo di incidere sulla continuità aziendale e sulla conservazione della forza lavoro.

 

In conclusione, il Tribunale ha disposto in via cautelare la cessazione del servizio oggetto del contratto, ordinando altresì alla parte resistente di ritirare i beni di sua proprietà dal magazzino della società ricorrente.


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