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Assenza dal posto di lavoro per infortunio o malattia: l'efficacia del certificato medico.

Assenza dal posto di lavoro per infortunio o malattia: l'efficacia del certificato medico.

di Antonio Cazzella

Con la sentenza n. 19089 del 1° agosto 2017, la Corte di Cassazione ha esaminato una fattispecie di licenziamento disciplinare comminato ad un dipendente, assente dal posto di lavoro a seguito di un grave infortunio in itinere. Attraverso le indagini di un’agenzia investigativa, era emerso che egli aveva svolto attività incompatibili con il suo stato salute e, comunque, suscettibili di pregiudicarne la guarigione.

Il lavoratore aveva impugnato la decisione della Corte di merito, rilevando, tra l’altro, che egli non avrebbe potuto riprendere servizio prima della data indicata nel certificato rilasciato dal medico INAIL, facente fede sino a querela di falso. Inoltre, il lavoratore ha evidenziato che l’inabilità temporanea attestata nel predetto certificato non era incompatibile con la deambulazione e, quindi, con la possibilità di trascorrere del tempo, anche in piedi, per collaborare nella farmacia della moglie durante la convalescenza.

Nel rigettare il gravame, confermando la giusta causa di licenziamento, la Suprema Corte ha precisato, in particolare, che l’efficacia probatoria del certificato medico sino a querela di falso, come stabilito dall’art. 2700 cod. civ., in considerazione della sua natura di atto pubblico, è limitata alla provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato ed alle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti.

La Suprema Corte ha evidenziato che “la prognosi della guarigione, certificata dal medico pubblico ufficiale, non rientra certo nei fatti avvenuti in sua presenza, o da lui compiuti, come tale perciò non fidefaciente nei sensi contemplati dall’art. 2700, comportando soltanto una manifestazione di scienza in relazione allo stato morboso, verificato alla data dell’attestazione (peraltro spesso anche in base alle mere dichiarazioni rese dal soggetto direttamente interessato, come non di rado capita nella pratica), rapportata ad un momento successivo e quindi futuro, perciò necessariamente al di fuori della contestuale percezione, invece pure richiesta dalla norma”.

Per tali motivi, la Suprema Corte ha precisato che “il giudizio prognostico costituisce una mera presunzione di fatto, quindi ben liberamente e prudentemente apprezzabile dal giudice adito”.

La Suprema Corte ha, dunque, puntualmente analizzato la rilevanza che assumono, al momento del rilascio del certificato medico, le dichiarazioni rese dal paziente (rectius, dal dipendente) in merito al suo stato morboso, di cui il medico non ha sempre un oggettivo riscontro. Peraltro, la Suprema Corte ha già avuto, in passato, occasione di affermare, come pure rilevato nella sentenza in esame, che deve essere esclusa l’efficacia probatoria privilegiata di un atto pubblico, ai sensi dell’art. 2700 cod. civ., per quanto attiene alla veridicità ed alla esattezza delle dichiarazioni rese dalle parti in presenza del pubblico ufficiale, le quali, di conseguenza, possono essere contestate ed accertate con tutti i mezzi di prova consentiti dalla legge, senza che debba necessariamente proporsi querela di falso (cfr. Cass. 12 maggio 2000, n. 6090).

 

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