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Appalto di servizi: quale è il termine entro cui l’inps deve agire nei confronti del committente per recuperare i contributi non corrisposti dall’appaltatore?

A cura di Giuseppe Sacco

Con la recente sentenza n. 38151, pubblicata in data 30 dicembre 2022, la Corte di Cassazione è tornata ad esprimersi sull’applicabilità o meno del termine di decadenza biennale ex art. 29, comma 2, del Decreto Legislativo n. 276/2003 in relazione all’azione promossa dagli enti previdenziali (nella fattispecie, dall’INPS) nei confronti del committente per i contributi previdenziali e assistenziali non corrisposti dall’appaltatore.

In primo grado, il Tribunale – a seguito di opposizione a decreto ingiuntivo promossa dalla società committente – revocava il decreto ingiuntivo ottenuto dall’INPS che intimava al committente stesso, in qualità di obbligato in solido ai sensi dell’art. 29 cit., il pagamento di ingenti importi a titolo di contributi previdenziali e assistenziali non corrisposti, nell’ambito di un contratto di appalto, dalla società appaltatrice. Il Tribunale, in particolare, riteneva che nulla era dovuto dalla committente all’INPS in quanto l’Istituto aveva proposto l’azione tardivamente, ossia oltre il termine biennale dalla cessazione dell’appalto.

Nel giudizio di secondo grado, invece, la Corte d’Appello riformava la sentenza del Tribunale ed escludeva l’applicabilità del predetto termine di decadenza ex art. 29 cit. in relazione alla pretesa dell’INPS.

Avverso la sentenza di appello, la società committente proponeva un ricorso in Cassazione e deduceva che il citato art. 29 dovesse essere interpretato nel senso di estendere all’INPS la decadenza dal diritto di agire nei confronti del committente quale responsabile solidale, posto che la norma non contiene alcuna eccezione con riferimento alle pretese degli enti previdenziali.

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione, dando continuità ad altre precedenti pronunce di legittimità, ha affermato, in analogia all’orientamento formatosi nel vigore della previgente L. n. 1369 del 1960, che “il termine di due anni previsto dal D. Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, non è applicabile all’azione promossa dagli enti previdenziali, soggetti alla sola prescrizione”.

In particolare, sul presupposto che l’obbligazione contributiva, derivante dalla legge e che fa capo all’INPS, è distinta ed autonoma rispetto a quella retributiva, la Suprema Corte ha affermato che “proprio dalla peculiarità dell’oggetto dell’obbligazione contributiva, che coincide con il concetto di ‘minimale contribuivo’ strutturato dalla legge in modo imperativo, discende la considerazione di rilievo sistematico che fa ritenere non coerente con tale assetto l’interpretazione che comporterebbe la possibilità, addirittura prevista implicitamente dalla legge come effetto fisiologico, che alla corresponsione di una retribuzione – a seguito dell’azione tempestivamente proposta dal lavoratore – non possa seguire il soddisfacimento anche dell’obbligo contributivo solo perché l’ente previdenziali non ha azionato la propria pretesa nel termine di due anni dalla cessazione dell’appalto”.

In conclusione il ricorso della società veniva rigettato, con condanna della stessa alla rifusione delle spese per il grado di giudizio.

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