×

T&P Magazine

Accordi collettivi su tariffe agevolate per ex dipendenti: diritti, aspettative e libera recedibilità

A cura di Andrea Beretta

(App. Lecce, sez. dist. Taranto, 11 aprile 2022, n. 243)

Con ricorso in appello, alcuni ex dipendenti di una società hanno impugnato la sentenza con cui il Tribunale aveva rigettato la loro domanda di ripristino di un’agevolazione tariffaria, in relazione a servizi resi dalla società medesima. Il beneficio era stato unilateralmente revocato in conseguenza del recesso – avvenuto allorché gli appellanti erano già in pensione – dell’azienda dall’accordo collettivo che detto beneficio prevedeva. In tal contesto, gli ex dipendenti assumevano l’erroneità della sentenza per non aver considerato che non poteva essere efficace nei loro confronti, in quanto già pensionati, il recesso da un accordo collettivo che attribuiva un emolumento retributivo, ormai acquisito al loro patrimonio (c.d. diritto quesito). La società appellata, costituendosi, si è riportata alle motivazioni della sentenza impugnata, chiedendone la conferma.

La Corte d’Appello ha rigettato l’impugnativa degli ex dipendenti, per le ragioni qui di seguito riportate. Innanzitutto, il Collegio ha ritenuto che le riduzioni tariffarie fossero totalmente svincolate dallaprestazione lavorativa, poiché spettavno anche a chi non era più in servizio o addirittura a soggettiche non erano mai sta ti dipendenti, quali i coniugi superstiti dei lavoratori o i famigliari di lavoratori assenti dal servizio per chiamta alle armi. Si trattava, nel complesso, di caratteristiche talmente particolari che non consentivano di qualificare il beneficio in questione alla stregua di un emolumento retributivo in natura, difettando, nella fattispecie, un reale profilo di corrispettività tra l’agevolazione e l’obbligazione gravante sul lavoratore. Inoltre, la Corte ha correttamente affermato che il beneficio in questione fosse previsto da un accordo collettivo senza termine di durata ed ha quindi richiamato e confermato il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui il contratto collettivo, senza predeterminazione di un termine di efficacia, non può vincolare per sempre tutte le parti contraenti, perché finirebbe in tal caso per vanificarsi la causa e la funzione sociale della contrattazione collettiva, la cui disciplina, da sempre modellata su termini temporali non eccessivamente dilatati, deve parametrarsi su una realtà socio economica in continua evoluzione. Sicché a tale contrattazione ve estesa la regola, di generale applicazione nei negozi privati, secondo cui il recesso unilaterale rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, che risponde all’esigenza di evitare - nel rispetto dei criteri di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto - la perpetuità del vincolo obbligatorio. Ne consegue che, in caso di disdetta del contratto, i diritti dei lavoratori, derivanti dalla pregressa disciplina più favorevole, sono intangibili solo in quanto siano già entrati nel patrimonio del lavoratore quale corrispettivo di una prestazione già resa o di una fase del rapporto già esaurita, e non anche quando vengano in rilievo (come nel caso di specie) delle mere aspettative sorte alla stregua della precedente più favorevole regolamentazione.

Infine, la Corte d’Appello ha affermato che non era di ostacolo la posizione dei ricorrenti di soggetti già pensionati, proprio perché tale beneficio, non avendo natura retributiva, esulava dalla retribuzione posta a base della pensione, la cui misura non era stata, coerentemente, intaccata dalla soppressione del beneficio stesso. Non si trattava, in ogni caso, per quanto detto, di incidere su un rapporto già esaurito e su una prestazione già resa (ciò sarebbe stato vietato) ma su un’aspettativa di prestazioni future, ovvero il permanere dell’agevolazione (e ciò era legittimo, alla luce dei principi sopra illustrati).

Rassegna stampa

Iscriviti alla Newsletter

Tags

Vedi tutti >