In ipotesi di reintegrazione, l’indennità di mobilità costituisce aliunde perceptum ed è detraibile dall’indennizzo ex art. 18 St. Lav.
A cura di Tommaso Targa
Tribunale di Cassino, sentenza 22 febbraio 2017
La violazione dei criteri di scelta ex art. 5 della l. 223/1991 – che comporta il diritto del lavoratore alla reintegrazione - sussiste anche quando la comunicazione di avvio della procedura di mobilità non ha adeguatamente individuato le ragioni per cui tali criteri di scelta non potevano essere individuati con riferimento all'intero stabilimento, dovendo invece essere applicati separatamente in relazione ai singoli reparti ove l'azienda ha individuato degli esuberi. Tale vizio non può ritenersi di mera forma (il che, in base all'art. 5 L. 223/1991 come modificato dalla legge Fornero, escluderebbe la reintegrazione), poiché la mancata enunciazione dei criteri di scelta, al momento dell'avvio della procedura, equivale alla loro disapplicazione. Dunque, si tratta di un vizio di sostanza.
In ipotesi di reintegrazione del lavoratore licenziato nell'ambito della procedura di mobilità, sul presupposto della violazione dei criteri di scelta e della conseguente illegittimità del licenziamento, spetta al medesimo l'indennità ex art. 18 comma 4 st. Lav.
L'indennizzo riconosciuto al lavoratore è pari a 12 mensilità; da tale importo deve però essere detratto l'aliunde perceptum, costituito non solo da eventuali redditi da lavoro percepiti dal dipendente dopo il licenziamento, ma anche dall'indennità di mobilità.
La sentenza in commento ha ritenuto che l'indennità di mobilità sia deducibile in ragione "della natura strettamente risarcitoria delle mensilità riconosciute". In altre parole, attribuendo all'indennizzo ex art. 18 St. lav. valenza risarcitoria, la sentenza ha ritenuto che tale risarcimento del danno sia soggetto al principio generale della compensatio lucri cum damno, con la conseguenza che l'indennità di mobilità deve essere detratta pur non trattandosi di reddito da lavoro.
Il principio di diritto affermato dalla sentenza in commento si discosta dall'orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità e di merito secondo cui l'indennità di mobilità non costituirebbe aliunde perceptum, e non sarebbe pertanto detraibile dall’indennità riconosciuta in ipotesi di reintegrazione, in quanto il lavoratore - una volta reintegrato - dovrebbe restituirla all'Inps. È plausibile che la sentenza, aldilà delle considerazioni di stretto diritto, abbia valutato anche l'aspetto fattuale, ossia la prassi in base alla quale, pur essendo tenuti astrattamente a farlo, difficilmente i lavoratori reintegrati restituiscono l'indennità di mobilità, ne' la stessa viene loro richiesta indietro dall'INPS, una volta corrisposta.