Diritto di accesso (ex Codice Privacy) e procedimento disciplinare: quali informazioni il datore di lavoro è obbligato a dare al lavoratore
A cura di Damiana Lesce e Valeria De Lucia
La normativa sulla Privacy incrocia le norme che disciplinano il contratto di lavoro in molteplici momenti durante la gestione del rapporto.
Così è anche nell’ambito di un procedimento disciplinare in quanto l’esercizio del potere disciplinare comporta un trattamento di dati personali relativi al lavoratore.
Se si pensa, poi, a procedimenti aventi a oggetto fatti estranei alla prestazione di lavoro (e, tuttavia, rilevanti in quanto in grado di incidere sul rapporto sotto il profilo dell’elemento fiduciario) i dati trattati possono avere anche natura di “dato sensibile”.
E’, dunque, evidente che l’esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro deve essere esercitato non solo nel rispetto della normativa di cui agli artt. 2106 cod. civ. (“Sanzioni disciplinari”), 4 (“Impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo”), 7 (“Sanzioni disciplinari”) e 8 (“Divieto di indianini sulle opinioni”) dello Statuto dei lavoratori, ma anche con osservanza della disciplina in materia di protezione dei dati personali.
Di tale principio si trova peraltro espressa conferma in un Provvedimento del Garante del 17 maggio 2007 nonchè, ancor prima, nelle Linee Guida del 23 novembre 2006.
Avuto, quindi, riguardo al Codice Privacy, nell’ambito del procedimento disciplinare può venire in rilievo innanzitutto il c.d. diritto di accesso (ex art. 7 Codice Privacy) in forza del quale il lavoratore può accedere al fascicolo del procedimento disciplinare per conoscere tutte le informazioni che lo riguardano in esso contenute.
In concreto, quindi, a titolo di esempio, a fronte della richiesta di un lavoratore di conoscere l’origine e le modalità del trattamento dei dati personali contenuti in una lettera di contestazione disciplinare, poiché la richiesta è afferente ad un “trattamento di dati personali”, la stessa deve essere riscontrata dal datore di lavoro in modo preciso e puntuale, mediante l’indicazione dell’origine dei dati e delle modalità del loro trattamento (vd. ad esempio Provvedimento del Garante del 12 aprile 2007).
Analoghi principi, già da tempo, sono stati affermati anche dalla giurisprudenza (Corte di Cassazione sentenza n. 9961 del 26 aprile 2007) sempre in tema di diritto di accesso: il lavoratore ha diritto di conseguire l’esibizione in giudizio, da parte del datore di lavoro, dei documenti relativi alle vicende del rapporto di lavoro (ivi compresi i fogli paga e i fogli presenza) “a prescindere dall’eventuale prospettabilità di prove diverse e senza spazi per valutazioni discrezionali da parte del giudice”.
La tenuta, da parte del datore di lavoro, di documentazione relativa alle vicende del rapporto di lavoro, sia che sia imposta dalla legge (come per i libri paga e matricola), sia che sia prevista dalla organizzazione aziendale ai fini della registrazione delle presenze e dei relativi orari, dà luogo alla formazione di documenti che, oltre ad essere possibile oggetto di ispezioni amministrative, sono utilizzabili anche dal lavoratore, in coerenza con la regola dell’esecuzione del contratto secondo buona fede (art. 1375 c.c.), proprio perché redatti per registrare le vicende relative al rapporto di lavoro.
Ancora con riferimento alle informazioni (dovute al dipendente) sull’origine dei dati trattati nel procedimento disciplinare, nel caso risolto dal Provvedimento del 12 aprile 2007 (vd. sopra) il lavoratore aveva chiesto di conoscere l’identità dei fornitori e dei dipendenti della Società che avevano effettuato le segnalazioni poste a base delle contestazioni disciplinari.
Questa la risposta del Garante: “il titolare del trattamento può legittimamente soddisfare la richiesta di conoscere l'origine di tali dati indicando (..) solo i ruoli, le categorie, gli uffici aziendali da cui sono provenute le segnalazioni in questione, senza indicare anche l'identità delle persone fisiche che materialmente le hanno effettuate. Ai sensi dell'art. 7 del Codice, l'interessato ha infatti diritto di conoscere l’origine dei dati che lo riguardano, ma non anche quello di accedere ai dati personali riferiti a terzi”.